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Venerdì 1 marzo 2024, l’Antica Pizzeria Da Michele in the World, apre a Como la sua 50esima sede nel mondo.

Cinque domande per 50 aperture. Attraverso le quali, Alessandro Condurro, ci racconta come un fiume in piena, il percorso fatto negli anni che ha portato la Michele in the World, a diventare un fenomeno a livello mondiale.

La vostra è un’azienda familiare che ha saputo evolversi nel tempo, partendo da un concetto di tradizione, che è diventata la base per portare nel mondo la vera pizza napoletana, senza snaturare ciò che la pizza rappresenta, ovvero un cibo inclusivo, trasversale, adatto a tutti e che piace a tutti. Partendo da questi presupposti, siete arrivati a 50 aperture.
In numerologia il significato del numero 50 è legato alla capacità decisionale e di superare gli ostacoli. Nella cabala rappresenta energia, libertà e cambiamento costante, così come curiosità e avventura senza ostacoli.
Ma ancora più particolare, il numero 50, nella Smorfia Napoletana rappresenta il pane. Per te, cosa rappresenta questo numero?

<<Questo numero, per me, rappresenta esattamente le cose che hai detto. Praticamente in questa domanda hai reso chiaro il significato di che cos’è Michele in the World e da chi è amministrata.

Laddove l’Antica Pizzeria da Michele a Napoli è, e resta il museo della pizza, ancorata alla tradizione inamovibile da 154 anni, pena l’insurrezione dei puristi, la Michele in the World è un’azienda in evoluzione continua, mossa da una grande energia, dalla curiosità, da un contagioso entusiasmo, e dalla voglia di sperimentare.

È proprio questo il senso della società che amministro ed è anche il motivo per il quale è gestita fondamentalmente da ragazzi. Non parlo di me, ovviamente, ma da tutti coloro che lavorano per noi.
Il mio Co-Amministratore, mio cugino Francesco ha 36 anni. Tutto il personale ha un’età media che va dai 25 ai 35 anni. Sono ragazzi pieni di idee, di passione, hanno tanta voglia di fare, tanta energia soprattutto. E mossi dalla curiosità, rappresentano il cuore pulsante della Michele in the World.

Io sono diventato Amministratore di Michele in the World nel novembre 2016. Avevamo già aperto due pizzerie in Giappone, oltre a quella di Napoli. Allora, il nostro obiettivo era arrivare a 12 pizzerie, dopodiché teoricamente ci saremmo dovuti fermare e avremmo dovuto gestire quello che avevamo fatto.

Ovviamente però, gli stimoli continui, il progresso continuo, che poi il mondo pizza si è evoluto moltissimo in questi ultimi 7/8 anni; e il fatto di essere sempre pronti ad intercettare quelli che sono i cambiamenti del mercato ci ha portato a non interrompere questo percorso.

Una volta arrivati a 12 siamo andati avanti fino ad oggi, con il traguardo delle 50 aperture, ma, oltre a questo, abbiamo elaborato tutta una serie di site business, tra cui il Michel Express. Un take away con la pizza a portafoglio, che adesso è presente con tre punti vendita di successo, e un gran numero di altri contratti firmati.

Ci siamo lanciati nel mercato della pizza Frozen, l’abbiamo presentata in tantissime fiere, ottenendo ottimi consensi. Tanto che, ad oggi, siamo presenti in mille punti vendita della GDO in Italia. Esselunga, Crai, Conad, Iper, Carrefour tra gli altri.

In questo momento la Frozen rappresenta per noi un side business. Nel senso che non è ancora un impegno gravoso da gestire, ma ha tutte le potenzialità per crescere in modo esponenziale. Grazie anche ovviamente al nostro partner, Roncadin, che è leader italiano nella produzione e commercializzazione di pizze Frozen.

Adesso siamo presenti in Italia, poi comincerà l’espansione verso il mercato Nordeuropeo che è quello attualmente di riferimento. E se qualora, io dico sempre, incrociando le dita, che non c’è mai niente di certo, dovessimo riuscire a entrare negli Stati Uniti d’America, che è il mercato principale del surgelato, potremmo davvero rivedere tutto il progetto societario.

Tornando alla domanda, mi colpisce il fatto che il numero 50 rappresenti il pane.

La nostra famiglia nasce anche dal pane, perché mio nonno era Condurro e aveva la pizzeria. Mia nonna, faceva Rescigno, e la sua famiglia possedeva uno dei panifici più famosi a Napoli.
Quando all’epoca si sposarono, mia nonna e mio nonno, si dice, fecero una specie di matrimonio dell’arte bianca. E questo è il principio di tutto.>>

In un momento in cui l’agricoltura è in profonda crisi e i contadini scendono in piazza per chiedere una revisione del Green Deal europeo, in contrasto alla concorrenza sleale e alla diffusione di “cibi sintetici” e soprattutto per ottenere il riconoscimento del valore del Made in Italy, come può, un gruppo come il vostro, che ha basato la propria crescita sull’utilizzo di prodotti del territorio, sostenere le ragioni dei protagonisti del settore primario?

<<La nostra è un’attività strettamente collegata al settore primario perché basata principalmente sull’utilizzo dei prodotti della terra: la farina, la mozzarella, il pomodoro. Da sempre pratichiamo una filiera corta. Tutti gli ingredienti che vengono utilizzati nelle 50 pizzerie da Michele in the World, arrivano dalle campagne vicino a noi.

Il fior di latte da Agerola, la passata da Santa Maria la Carita’, dove c’è la Solea, l’industria conserviera del pomodoro. Ortaggi 100% italiani, campani, calabresi e pugliesi, che legano il nostro successo a questo tipo di produzione. Così come l’olio che utilizziamo, proviene dall’Oleificio Masturzo di Potenza.

Nel tempo siamo diventati una sorta di volano, che ha favorito l’espansione delle piccole aziende agricole locali.

Il nostro fornitore di fior di latte, Fior d’Agerola dei fratelli Fusco, fino a dieci anni fa, non aveva idea di cosa significasse portare i loro prodotti all’estero. Grazie a noi che abbiamo cominciato ad esportare il fior di latte in Giappone e adesso in tutto il mondo, il caseificio Fusco è diventato una multinazionale.

Si è quindi creato un forte rapporto di scambio tra noi e i nostri preziosi fornitori, basato anche sulla reciproca gratitudine. Noi abbiamo agevolato la loro espansione e crescita, mentre loro continuano a fornirci i prodotti di altissima qualità che hanno favorito anche la nostra.

Ma non solo, oltre ai prodotti che consumiamo direttamente nelle 50 pizzerie nel mondo, si è creato un indotto indiretto fatto di altri acquirenti interessati, spinti dall’aver provato gli ingredienti attraverso le nostre pizze e dal volerli utilizzare a loro volta nelle preparazioni. E mi riferisco ad importanti catene di pizzerie e numerose realtà nel settore della ristorazione.

Ecco che quindi, grazie alla nostra attività, siamo riusciti a valorizzare al meglio le produzioni agricole locali, accelerando la crescita di aziende che oggi hanno raggiunto mercati internazionali.

Questo per dire che anche noi imprenditori, non dobbiamo sottovalutare la crisi dell’agricoltura, e cercare, compatibilmente con le nostre possibilità, di sostenere il consumo di produzioni locali, favorendo la filiera corta. Così, oltre a garantire qualità e freschezza degli ingredienti utilizzati, si creerà un effetto a cascata sull’economia dei nostri territori.>>

Dai dati raccolti, risultano essere quasi 127 mila le aziende che vendono pizza sul territorio italiano. Di queste, ben 76.457 sono esercizi di ristorazione, 40 mila sono ristoranti-pizzeria e circa 36.300 sono bar-pizzeria.
Si può dire che quello della pizza sia un settore trainante nel campo della somministrazione di cibo. Cosa trova di diverso, nel gruppo dell’Antica Pizzeria da Michele in The Word, chi decide di affiliarsi e aprire un punto vendita con il vostro marchio?

<<Senza alcun dubbio, la riconoscibilità, e la “brand reputation”. Nel momento in cui decidi di espanderti e di internazionalizzare il tuo marchio, ragionando nell’ottica di aprire una catena, la cosa più importante, a mio parere, sono questi due fattori.

Ti faccio un esempio concreto, comprovato da ricerche e studi universitari. Nell’immaginario delle persone, sebbene Michele in the World abbia 50 punti vendita e Domino’s Pizza, 12.000 in tutto il mondo, quando si parla di pizza all’estero, la nostra realtà risulta molto più credibile e apprezzata di Domino’s.

La reputazione aziendale che abbiamo costruito colpisce gli investitori internazionali. E chi decide di puntare sul marchio è qualcuno che conosce la nostra pizzeria di Napoli. Qualcuno che ha visto la gente che sta fuori al locale di Forcella, che fa due ore di fila pur di gustare la nostra pizza.

E quindi, viene motivato a fare questo investimento, perché nel momento in cui noi gli assicuriamo, come in effetti poi avviene, lo stesso prodotto che ha mangiato a Napoli o che qualcuno dei suoi amici ha mangiato a Napoli, questa cosa crea un grande entusiasmo nelle persone che si sentono parte di un progetto molto più ampio, dove la fiducia reciproca è un elemento essenziale.

Il nostro valore aggiunto, è il concetto di comunità e unione, che riusciamo a trasmettere agli affiliati. Al momento sono 50, li conosco tutti personalmente, e ti posso assicurare che ognuno di loro sente di appartenere alla famiglia Condurro.

Si sono talmente appassionati a Michele, alla pizza napoletana, all’idea di poter ricreare l’atmosfera di Forcella nelle loro città, che vivono il sogno insieme a noi. Arrivano persino ad imparare tutta la storia della famiglia.
Ti dico che, Ciro Aterrano, il nostro partner di Londra, che io adoro, quando la gente va da lui in pizzeria, racconta che Michele era suo nonno. E lo stesso entusiasmo lo ritrovo ovunque, riuscendo a consolidare dei rapporti, che vanno ben oltre la realizzazione di un progetto in comune. La forza dell’Antica Pizzeria da Michele in the World è anche questa.>>

Ti dividi tra il tuo lavoro di commercialista, l’impegno alla guida della Michele in The World e la tua famiglia. Come te i tuoi zii e i tuoi cugini. Voi oggi rappresentate il presente. Il futuro sarà quello dei vostri figli e nipoti? Come vivono le nuove generazioni l’escalation del marchio?

<<Come in tutte le imprese di natura familiare, specialmente quelle molto numerose, occorre una buona dose di diplomazia per affrontare delle dinamiche non sempre facili da gestire.

Una cosa importante, è che davanti alle difficoltà siamo sempre stati uniti. In un modo o nell’altro, riusciamo a trovare un equilibrio che alla fine ci porta a prendere delle decisioni univoche, nonostante magari, si parta da punti di vista molto diversi.
Noi sicuramente rappresentiamo il presente, e stiamo consapevolmente gettando le basi per assicurare un futuro a quelle che sono le generazioni che verranno.

Ma ovviamente, al momento, non ti posso dire se i miei figli vorranno occuparsi dell’azienda, né io sono un padre che forza determinate decisioni. Sono ancora dei ragazzi, il grande ha 16 anni e mezzo, la piccola ne ha 13, quindi, le pizzerie le vivono semplicemente come un posto dove mangiare la pizza.

Mi è capitato di portarli all’inaugurazione di nuove pizzerie sia all’estero che in altre città d’Italia, e ho notato che sono incuriositi dal fatto che in tanti mi riconoscano e mi trattino amichevolmente.
Questo, indubbiamente genera in loro delle domande, si chiedono quale sia il mio ruolo e perché io attiri l’attenzione di così tante persone.

Ancora devono capire bene i meccanismi di questo lavoro, ma c’è tutto il tempo, e soprattutto, ribadisco, non è mia intenzione forzare la mano, lasciandoli totalmente liberi di scegliere in autonomia quale sarà la strada da percorrere nel loro futuro.

Anche perché la mia storia è stata diversa. Mio padre, uomo di vecchio stampo, ha sempre fatto il commercialista. E quando io sono nato, il mio destino era già segnato, nel senso che, lui proprio non ipotizzava che io potessi interfacciarmi con un altro tipo di lavoro.

Così, da piccolo, se per gli altri bambini, alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” era normale esclamare “il calciatore, l’astronauta, il pizzaiolo”, per me la risposta era già una e sola: “il commercialista” ancor prima di conoscere il reale significato della parola.

Diciamo che io questa cosa vorrei evitarla, anche se, lo ammetto, ovviamente mi farebbe piacere vederli realizzati in questo campo. Ecco perché procediamo a piccoli passi costanti nel creare una buona base aziendale, non pensando alla monetizzazione immediata ma a continuare a crescere nel tempo. Non è nostra intenzione infatti, vendere il brand, anche se ammetto che abbiamo ricevuto proposte interessanti.

Fin quando continuo a divertirmi, lavorando in un ambiente che mi piace, facendo quello che mi piace, onestamente non prendo in considerazione questa possibilità.

Quando nel 2016 l’Assemblea dei soci mi nominò Amministratore della Michele in the World, ti dico la verità, se riscontrai un’opposizione forte fu proprio da parte di mio padre, che non era d’accordo che io mi dedicassi a questo ruolo.
E quando, nonostante tutto, accettai l’incarico, lui mi disse, “verrà il giorno che lascerai lo studio”. Temeva in cuor suo che avrei voltato le spalle a tutto ciò che lui aveva creato.

Ad oggi, fortunatamente, ho dei collaboratori che portano avanti lo studio e i clienti, alcuni dei quali particolarmente affezionati perché ormai storici, essendo con noi da cinquant’anni.

Sono dottore commercialista da quasi 30 anni. Non ho problemi ad ammettere che, professionalmente mi piace di più gestire la Michele in the world, ma nutro ancora un profondo rispetto per quello che era il lavoro di mio padre. Grazie a questo, negli anni ho potuto comprare una casa, sposarmi e mettere su una famiglia.

Avrei quindi delle grandi difficoltà, anche solo al pensiero di chiudere l’attività che mio padre mi ha lasciato.>>

Prima la Frozen, poi Michele Express, delle nuove formule che vanno ad ampliare l’offerta di prodotti e a coinvolgere un mercato nuovo e diverso rispetto ai consumatori della pizza classica. Qual è stata la difficolta più grande che avete dovuto affrontare in questi anni?

<<Noi abbiamo cominciato nel 2012. Allora, oltre a occuparmi dello studio da commercialista, entrai da dipendente nell’azienda di famiglia. Nel 2016, dopo un percorso impegnativo sono diventato Amministratore.
In pratica, siamo partiti da zero. All’inizio, non avevamo la più pallida idea di ciò che facevamo, e siamo cresciuti imparando dai nostri errori.

Non nascevamo come una società che faceva esportazioni, né tantomeno contratti di affiliazione. Queste sono cose che ho elaborato io, da autodidatta, perché ho imparato sul campo. Al punto che, spesso, mi capita, di essere avvicinato da aziende napoletane che vorrebbero mettermi sotto contratto per aiutarle nell’espandere il proprio brand a livello internazionale.

Non mi sento di poter fare delle consulenze reali. Ma oggi, dopo anni di studio e di lavoro mirato, so con certezza quali sono i passaggi da compiere per far crescere una società che mira alla creazione di un franchising.

A titolo amicale ho dato dei consigli a chi me li ha chiesti, anche ad imprenditori provenienti da campi completamente diversi dal mio. Questo perché sono consapevole che nella categoria del franchising cambia la caratteristica merceologica, ma alla fine, i documenti, la logistica, le procedure, sono sempre più o meno le stesse.

Chissà se ne mio futuro ci potrà essere, anche uno studio da consulente per aziende che vogliono internazionalizzare il proprio marchio.

Ironia a parte, si tende a vedere e a pubblicizzare le cose positive. Ma per ogni successo ci sono dieci insuccessi. Voglio dire, ci sono dieci percorsi provati ed andati male, che ovviamente uno non va a rendere noti, cercando comunque di farne tesoro per non commettere gli stessi sbagli.
Ecco, posso dire che siamo cresciuti imparando dai nostri errori. Delle stupidaggini che fortunatamente non sono andate ad inficiare quello che è il risultato globale dell’azienda.

Tra le tante difficoltà, sicuramente quella più grande che ho dovuto affrontare è stata abbattere il muro del pregiudizio dei miei parenti.

Riagganciandomi alla domanda precedente, la Michele in the World è un’azienda familiare, nella quale la quasi totalità dei soci ha dai 70 agli 85 anni. E, ovviamente, soprattutto all’inizio, ti vai a scontrare con una mentalità, di tipo assolutamente patriarcale. Tale che, a 80 anni si è degli uomini impegnati, quindi io a 50 anni sono il giovane della famiglia da trattare con intransigenza.

Siamo 7 soci e, avendo preso il posto di mio padre al tavolo, sono di gran lunga il più giovane. Per farti capire l’atteggiamento, ti racconto un episodio accaduto qualche anno fa. Mio zio Antonio, uno dei due amministratori all’epoca della pizzeria da Michele, una volta all’anno, portava tutta la famiglia a mangiare fuori.

Avevo più o meno trent’anni, lui 85 e ricordo un ragionamento attorno al tavolo. Rivolgendosi a zio Sergio, 60 anni, diceva – oramai noi siamo superati, noi ci siamo fatti vecchi, il futuro è di voi giovani. –
Questo che significa? Significa che, ogni volta che mi confrontavo con gli altri soci mi sentivo ripetere sempre, – tu sei giovane, sei ancora immaturo, devi essere guidato. –

Quindi dove voglio arrivare? Che, quando nacque il progetto di Michele in the World era visto malissimo da tutti i miei parenti.
Ne ho combinato di tutti i colori pur di andare avanti, dovendo persino nascondere gli stagisti giapponesi, che avevo fatto arrivare in funzione dell’apertura della pizzeria a Tokyo, ogni volta che capitava un mio zio nel locale.

Mi sono preso dei rischi enormi, ma perché ci credevo proprio in questa cosa. Non poteva andare male, ed ero perfettamente consapevole che, se fosse dipeso da loro, non avremmo mai fatto il grande passo.
Allora ho dovuto necessariamente, per il bene dell’azienda, assumermi delle responsabilità, procedendo in silenzio. E fortunatamente, dopo un paio di anni della mia amministrazione, ho cominciato a raccogliere e a distribuire i frutti di tanto lavoro.

A quel punto sono arrivate anche le gratificazioni e gli apprezzamenti da parte degli altri soci e parenti.

In realtà sono cosciente che in tutte le imprese familiari, il cambio generazionale rappresenta un momento critico. Però fortunatamente, ripeto, le cose poi sono andate bene, e quindi, anche i miei zii, i miei parenti, tutti quanti, si sono convinti che stiamo facendo una cosa buona. E oggi, devo dire la verità, mi sostengono con convinzione.>>

Questa domanda è un’extra perché non posta da me, ma formulata da Alessandro per sé stesso, e merita di essere riportata: Alessandro, come ti vedi da qui a dieci anni?

<<La mia massima aspirazione è quella di fare il vecchio che sta in piedi a guardare i cantieri. Oppure passare le mie giornate dal barbiere a leggere il giornale e a parlare dei temi importanti della vita. Ho già chiesto al mio di riservarmi una sedia.>>

Tanto è stato detto, tantissimo ci sarà ancora da dire, perché l’Antica Pizzeria da Michele in the World, secondo i piani continua a crescere. Per la cinquantesima apertura a Como, è prevista una grande festa e poi senza sosta, arriveranno Singapore, Ginevra e Lugano. Subito dopo, una dietro l’altra, Ravenna, Padova, Modena, Ferrara, e Brescia. Prima dell’estate Madrid e Marbella in Spagna e, in autunno Rimini e Venezia.

E noi saremo qui a raccontarvi con entusiasmo di questa grande impresa familiare che porta la vera pizza napoletana in giro per il mondo.

MEatingNews intervista ad Alessandro Condurro link

L’antica Pizzeria da Michele in the World link

 

Sara Sanna

Caporedattore
Sarda, scrive da sempre di enogastronomia, da qualche anno in modo professionale. La passione per questi argomenti è una eredità preziosa della sua famiglia dove le tradizioni culturali si sono radicate in simbiosi col piacere di condividere e di godere della scoperta del buon cibo.
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