Sono sempre più numerose le aziende vitivinicole campane che si distinguono per la qualità del lavoro compiuto, che va dalla coltivazione in vigna fino al raggiungimento di un prodotto finale che spesso diventa specchio del territorio e dei suoi attori.
Machiarano 1899 rappresenta un esempio di come il vino possa diventare espressione di luoghi e anime che convogliano le proprie forze e la propria volontà in un progetto destinato ad essere vincente.
I vini dell’azienda, i cui nomi arrivano direttamente dalla “Smorfia” di Massimo Troisi, nonostante la giovane età hanno infatti già ottenuto diversi riconoscimenti e si apprestano a raccoglierne altri come testimonianza del lavoro centrato che si sta portando avanti.
Abbiamo fatto una chiacchierata con il responsabile di Machiarano 1899, Raffaele Ferrara, che ci ha confermato il carattere deciso che la dirigenza ha voluto imprimere al progetto e ai suoi vini, cosa che si percepisce chiaramente già all’assaggio.
Raffaele parlaci del vostro progetto.
<<Noi commercializziamo vino da soli 5 anni. La mia famiglia produce davvero vino dal 1899 ma come semplice passione. Siamo da sempre commercianti nel settore alimentare su più fronti.
Il 1899 è l’anno di nascita di quello che consideriamo il nostro fondatore, il mio bisnonno, dal quale abbiamo mutuato il soprannome che è appunto “Machiarano”.
Fu lui il primo a cimentarsi nella produzione di bibite e vino.>>
E l’azienda quando nasce?
<<Cinque anni fa abbiamo deciso di strutturarci e scommettere in questa nuova avventura e, con la stessa determinazione che guida realtà ben più grandi della nostra, abbiamo dato il via al nostro progetto che ci avrebbe permesso di arrivare sulle tavole anche con il nostro vino.
Il nostro prodotto è uscito sul mercato dopo anni di studio e prove, solo nel momento in cui, insieme ad un team di tecnici ed enologi lo abbiamo ritenuto pronto e all’altezza del mercato.
Siamo abbastanza nuovi in questo settore ma il nostro è già un percorso che si può definire felice se ci fermiamo a guardare i riconoscimenti fin qui ottenuti e le collaborazioni realizzate fino ad oggi.>>
Di cosa si tratta nello specifico?
<<A parte i punteggi altissimi ricevuti da sommelier di rilevanza internazionale come Franco Candelma e Luca Gardini, fondamentali per il posizionamento e il prestigio dell’azienda Machiarano 1899 sono state le diverse collaborazioni con il Teatro San Carlo, il Palazzo Reale di Napoli e Castel dell’Ovo in occasione di importanti eventi.>>
Qual è la filosofia dell’azienda?
<<La nostra volontà è di regalare al consumatore una esperienza di qualità e per questo la nostra è una piccola produzione.
Le grandi quantità non ci interessano soprattutto perché uno dei nostri obiettivi è da sempre quello di tenere la chimica lontana dai nostri vini.
Evitiamo interventi che possano snaturare il prodotto quindi evitiamo aggiunte e correzioni.
Preferiamo perdere in termini di resa pur di regalare un prodotto genuino e autentico che rispecchi a 360 gradi il nostro modo di essere.>>
Dove si svolge il lavoro dell’azienda Machiarano?
<<La zona di elezione è il beneventano, alle pendici del Monte Taburno, da dove preleviamo le uve Falanghina e Aglianico.
In ultimo vinifichiamo e imbottigliamo con attrezzature in conto terzi sul posto con l’ausilio di nostri enologi.>>
Cosa vi ha realmente spinto al passaggio da una dimensione “casalinga” alla produzione finalizzata alla vendita?
<<Prima di questo salto ho studiato per un lungo periodo il mondo del vino, ho conseguito il diploma di sommelier e approfondito la conoscenza del settore con varie degustazioni.
Quando insieme alla passione ho ritenuto di avere acquisito anche un piccolo bagaglio di conoscenza di questo mondo immenso ho deciso di fare il salto dall’altro lato della barricata passando alla produzione.
Non abbiamo una storia alle spalle ma vogliamo scriverla adesso giorno per giorno.>>
Le vostre etichette sono molto particolari, forse uniche. La retro-etichetta non ha scritte o descrizioni ma è un foglio bianco.
<<Si abbiamo pensato che questa potesse essere una buona idea in quanto riteniamo che il vino possa essere legato a dei momenti e a delle emozioni particolari, rappresentando un percorso poetico e sensoriale che coinvolge tutti i sensi
Il foglio bianco può diventare un taccuino sul quale il consumatore può fermare quelle emozioni, appuntare dei ricordi, creando una connessione con la bottiglia, con il momento e la persona con cui si sta condividendo la bevuta.>>
Cosa producete al momento?
<<La Falanghina, l’Aglianico, di cui quest’anno è uscita la riserva 2021, e un nostro blend, il nostro top di gamma, un taglio tra Aglianico, Montepulciano e Primitivo.
Abbiamo voluto imprimere un carattere particolare a questo blend che differisce dai soliti tagli Bordolesi che prevedono l’utilizzo di vitigni internazionali facendo un taglio unico del sud coinvolgendo Campania, Basilicata e Puglia con tre uve dosate in percentuale tale da rendere il prodotto armonico.
Probabilmente siamo riusciti nel nostro intento in quanto proprio questo blend ci sta dando grandi soddisfazioni e sta raccogliendo ottimi consensi.>>
Come vengono distribuite le vostre etichette?
<<Produciamo meno di 10.000 bottiglie tra le tre etichette quindi anche la distribuzione è mirata ma non abbiamo intenzione di allontanarci troppo da questa dimensione per non perdere le caratteristiche del nostro prodotto e non snaturare il progetto.
Preferiamo che i nostri vini siamo bevuti nei posti giusti, quelli frequentati da una clientela consapevole, che si approccia al vino senza pregiudizi e con il giusto rispetto.
Abbiamo già fidelizzato un buon numero di acquirenti che acquistano il nostro vino e che corrispondono ai nostri ideali e siamo abbastanza soddisfatti.>>
Che mercato le piacerebbe varcare in futuro?
<<Forse la Francia, considerando la rivalità con i cugini d’oltralpe, ma la strada è lunga.>>
Cosa vorrebbe diventare da grande?
<<Sicuramente progettiamo di ampliare la gamma creando nuovi vini che siano espressione di territorialità. Però sempre utilizzando vitigni italiani con tagli interessanti e poco convenzionali, producendo così vini un po’ più audaci.>>
L’ultima curiosità riguarda i nomi delle vostre etichette. Come mai vi siete ispirati alla “Smorfia” di Troisi?
<<Mutuare i nomi delle etichette dalla Smorfia di Massimo Troisi è stato una sorta di omaggio ad un grande artista della nostra terra.
È una forma di gratitudine verso un uomo che, quasi inconsapevolmente, ha regalato tanto a Napoli e ai napoletani.
Chiamare le nostre etichette con quei nomi significa sottolineare quel senso di appartenenza e identità territoriale che ci caratterizza da sempre.>>
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