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Nel terzo appuntamento dello speciale dedicato all’Alleanza dei Cuochi Slow Food siamo a Piazza Dante, allo storico ristorante AL53 di Angelo Martino.

Per raccontarvi di questo incontro, della filosofia che guida quest’attività presente a Napoli dal 1890, vogliamo partire dalla fine. E cioè da quando entrano nel ristorante quattro ragazze di Genova, quattro giovani turiste, che camminando sul lungomare di Napoli incontrano un artista di strada che consiglia loro di provare la “vera” cucina partenopea lontana dalle mete turistiche, la cucina della “tradizione”, come è stato detto, loro.

E così che le giovani arrivano da AL53 a Piazza Dante, piene di aspettative e di entusiasmo.

“Questo è il legame che costruiamo con i nostri amici, con chi conosce AL53 – ci dice commosso Angelo mentre accoglie le turiste – chi viene da noi non è un cliente, diventa un amico, in molti casi un fratello e questa cosa resta, resta nel cuore. L’artista che ci ha consigliato alle ragazze è un artista di strada con cui si è istaurato un forte legame.”

Il senso dell’accoglienza, uno dei capisaldi della filosofia Slowfood, sta tutto qui: far sentire a casa chi varca la porta del proprio locale. Lasciare poi un segno di quell’accoglienza per far sì che a casa poi tu ci voglia tornare.

“Si comincia con la prenotazione. Nel ristorante AL53 i tavoli non sono mai fissi, cambiano posto, sistemazione, modulo, tutto varia a seconda delle esigenze di chi viene a trovarci, di chi viene a provare la nostra cucina. Non riesco a concepire quelle prenotazioni on line, con uno schema computerizzato, freddo. Una volta presa la prenotazione poi la comanda è un altro capitolo da scrivere qui”

Lo vediamo già, in mano ad Angelo, il taccuino: il Block Notes composto da fogli di carta riciclati che sanno tanto di vita vissuta, di storia già scritta ma pronta ad essere narrata.

“Il piatto va raccontato. Il menù cambia, giorno per giorno. A partire dai contorni che per la nostra storia, essendo noi nati come “cantina”, diventano veri e propri antipasti”

Angelo conosce quasi ad uno ad uno i suoi avventori. Anzi i suoi amici. Li riconosce anche mentre stiamo facendo l’intervista e giustamente ci interrompe, per accoglierli, per salutarli, per dedicargli tempo.

IL VALORE CULTURALE E SENTIMENTALE DEL CIBO

Perché il tempo e il cibo sono strettamente legati, c’è un rapporto direttamente proporzionale tra la bontà di un piatto e il tempo che una persona impiega per prepararlo. Questo è vero quando dietro la parola “bontà” riscopriamo dei valori dimenticati.

“Il valore del cibo è qualcosa che va oltre la bontà del prodotto in sé. In un piatto servito c’è dietro molto di più – sostiene Angelo – Prendiamo l’esempio della Genovese, piatto simbolo di Napoli, che è un piatto d’amore, di cura. Per prepararlo ci vogliono ore e ore, spesso si crea una staffetta tanto è il tempo che bisogna dedicare alla cottura. È un piatto unico, primo e secondo, è un gesto con cui si dice: ecco questo è il tempo e la cura che ho dedicato per te”

La cucina napoletana è piena di simboli, di messaggi, di cura, d’amore. E non mancano mai aneddoti familiari che provano che quest’idea è tacitamente condivisa nelle famiglie più veraci.

“Una volta, insieme a mio nonno, eravamo ospiti della famiglia della futura sposa di mio cugino. Un primo incontro tra due famiglie che sarebbero poi state legate da questo matrimonio. Pronti per sederci a tavola ci rendemmo conto che il menù era principalmente basato su piatti già pronti: affettati, salumi, mozzarella. Tutto buonissimo per carità, ma quella fugacità dei piatti era per mio nonno una mancanza di attenzione, di tempo non speso.
Quando scendemmo da lì disse: Questo matrimonio non lo vedo bene”.

LA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ: PRIMA UMANA POI TERRITORIALE

Accoglienza, valore culturale del cibo, e tutela della biodiversità. Questi sono i concetti principali difesi come in un fortino da Angelo e da tutto lo staff del ristorante Al53.

Ma c’è qualcosa di più. Quando parliamo di biodiversità parliamo prima di “diversità umana poi di quella territoriale”

Quando chiediamo ad Angelo cosa intende ci fa dirigere verso il bagno. Si, proprio il bagno.

“Come può un ristoratore professarsi a tutela della biodiversità quando poi nel suo ristorante non ha nemmeno i bagni per i diversamente abili? È nostro dovere cominciare a vedere la diversità tra le persone come una ricchezza, come un valore da tutelare e quindi fare in modo di far sentire a casa davvero tutti, abbattendo barriere architettoniche e culturali che non fanno dell’accoglienza un concetto universale.”

Ci sono cose che spesso diamo per scontate. Dobbiamo dirlo anche noi che girando per questo speciale abbiamo parlato di tutela della biodiversità senza mai porci domande, oltre a quelle legate ai prodotti o alle materie prime.

Angelo così ci illumina e sopra quella porta del bagno fa di più: affigge un cartello con la scritta “gender neutral”.

“Il bagno è di tutti, senza etichette. Non siamo noi a decidere come o chi gli ospiti devono essere o sentirsi. Questa è una battaglia che mi sta molto a cuore. Prima dei prodotti d’eccellenza, prima della stagionalità e delle scelte giornaliere del menù, che pure sono importanti anzi fondamentali per noi, ma prima di tutto vengono le persone. In tutte le loro sfaccettature. Questa è biodiversità.”

IL PIATTO DELLA RESISTENZA

E il piatto proposto per questa intervista non poteva che essere un piatto “della resistenza”.

“À sapunara, così lo chiamiamo questo piatto fatto con prodotti di facile conservazione come olive e capperi. Era un piatto che veniva cucinato nelle famiglie anche durante la guerra o in momenti di difficoltà economiche. L’elemento della resistenza non è solo il contesto storico ma è legato ad un ingrediente speciale: il pan grattato. In questo piatto il pan grattato si sostituisce al parmigiano che in epoche passate e di ristrettezza era complicato reperire. Era così che le mamme di allora utilizzavano questo piatto come escamotage per accontentare i bambini che volevano il formaggio quando il formaggio non c’era”

Ancora un piatto con un valore simbolico, ancora un messaggio d’amore portato dalla cucina. Quella cucina che sa di pazienza, di famiglia, di cura.

Ed è sempre di cura che parliamo ogni volta che incontriamo un cuoco o un ristoratore legato dall’Alleanza. L’attenzione delle proposte, il rispetto di certi valori di cui diventare portavoce anche attraverso scelte complicate dal punto di vista commerciale.

“Questa è la missione dell’Alleanza – sostiene con forza Angelo che mette in bella vista il cartello dell’appartenenza Slowfood, praticamente sopra la sua testa all’ingresso del locale – far capire ad ogni persona che entra che c’è un modo diverso di fare ristorazione. Che la tutela del prodotto viaggia di pari passo con l’accoglienza, che siamo tutti legati da un unico credo: il rispetto. Del prossimo e della nostra Terra”.

 

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Donna sorridente in un ristorante luminoso

Valentina Castellano

Sociologa di formazione, diventa giornalista pubblicista raccontando le realtà e le storie del food napoletano. Sogna una narrazione di Napoli lontana dai loghi comuni e lavora per mettere in luce le infinite relazioni e contatti tra cultura e cibo, storia e territorio, persone e piatti della tradizione.
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