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La pasta, autentica creazione della cultura popolare italiana, fa parte di quell’inventiva gastronomica che ha contribuito a far conoscere la cucina della penisola in tutto il mondo. Si tratta di un prodotto semplice e genuino che ogni regione ha elaborato a seconda della propria tradizione, conferendogli un’identità precisa che molto spesso è stata custodita gelosamente fino ai giorni nostri.

Ma quando si parla per la prima volta di pasta in Italia?

Una data precisa ce la fornisce Eleonora Todde, professoressa di archivistica dell’Università degli Studi di Cagliari: «Il primo riscontro documentato risale al 1279. Si tratta d’importazione di pasta dalla Sicilia, da parte dei mercanti genovesi. Già da allora, possiamo identificare tre grandi capitali della pasta sulla penisola: Palermo, Genova, Napoli alle quali si aggiungerà in un secondo momento Roma.

Successivamente, intorno alla fine del XVI secolo, inizia la produzione documentale legata all’attività dell’arte pastificia, con la redazione degli statuti delle arti dei pastai.

I primi a regolamentare quest’attività sono i Genovesi nel 1574 seguiti dai cugini Savonesi. A pochi anni di distanza, nel 1579, anche Napoli avrà i propri statuti così come Palermo nei primi del Seicento».

Quanto era sviluppato il commercio della pasta all’epoca?

«Parliamo di una produzione della pasta abbastanza contenuta. Siamo nell’ambito delle piccole botteghe a gestione familiare. Per assistere a un ampliamento del commercio di questo prodotto bisogna aspettare il XVIII secolo, quando ci fu un’evoluzione delle tecniche di produzione e degli strumenti di panificazione.

Soltanto nel corso dell’Ottocento si ha la consacrazione della pasta come alimento base della dieta mediterranea. Ma la vera e propria espansione del mercato arriverà tra il 1800 e il 1900, quando la pasta verrà esportata in tutto il mondo».

Lei ha condotto delle ricerche sulla documentazione della pasta nell’ambito di un convegno intitolato “Archivi e patrimonio agrario” nel 2021. Perché è importante conservare questo tipo di documentazione per le aziende?

«La conservazione ha una duplice finalità, di testimonianza e di memoria storica esterna, in quanto frutto di un’attività importante che ha segnato il territorio e la sua economia. La seconda è una finalità interna, infatti, conoscere la propria storia può permettere un approccio diverso dal punto di vista della produzione.

Possono essere rispolverate in chiave vintage formati e ricette di pasta, così come miscele di grani non più in produzione. Ma il vero punto di forza è l’interpretazione in chiave di marketing che le aziende danno.

Tutti i produttori di pasta si vantano o comunque fanno della propria storia un elemento centrale per la comunicazione d’impresa. Ed ecco che l’utilizzo della propria documentazione risulta fondamentale per rendere più forte e credibile un marchio».

Quali sono le aziende storiche che avete esaminato?

«Agnesi è una delle aziende che abbiamo studiato, ma i vari passaggi di proprietà purtroppo hanno pregiudicato in parte la conservazione documentaria. Sicuramente l’azienda italiana che meglio ha conservato il suo patrimonio archivistico è la Barilla. Questo grazie al fatto che per quasi tutta la sua esistenza è stata in mano alla stessa famiglia. Solo nel periodo in cui è stata gestita dalla multinazionale statunitense Grace & Company negli anni Settanta, parte della documentazione è andata perduta. Una volta riacquistate le quote azionarie della società, Pietro Barilla con lungimiranza ha compreso l’importanza dell’archivio permettendo la sua ricostruzione».

Quali sono i prossimi passaggi del progetto di ricerca legato alla documentazione della pasta?

«Il progetto è nato nell’ambito di un convegno sull’attività della produzione agricola intitolato Archivi e patrimonio agrario, che si è tenuto a Firenze nel settembre del 2021.

L’attività è stata portata avanti analizzando altri casi di studio che sono stati portati agli Stati generali del patrimonio industriale. Si procede per piccoli passi in modo da ricostruire un mosaico più delineato. La speranza, in un futuro non molto lontano è quella di prendere in esame anche il caso delle aziende sarde del settore».

 

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