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Umberto 1916, il ristorante e pizzeria centenario nel salotto di Napoli, in Via Alabardieri, nelle immediate vicinanze di Piazza dei Martiri, è il quarto appuntamento del nostro speciale dedicato all’Alleanza dei Cuochi Slow Food Campania.

Massimo, Lorella e Roberta Di Porzio alla fine degli anni ’90 prendono le redini del ristorante di famiglia, un riferimento a Napoli, per cucina, stile e fedeltà alla tradizione. Un luogo da sempre frequentato da artisti, intellettuali e musicisti napoletani.

I ricordi di una storia importante contribuiscono a cementare un’identità riconosciuta e condivisa: Napoli e l’arte, Napoli e la musica, Napoli e il Teatro. Ogni dimensione della cultura napoletana vive tra le pareti di questo locale. Nei volti immortalati nelle foto alle pareti il matematico Caccioppoli campeggia su tutti in una grande immagine al centro della sala principale.

Tra le foto storiche, i quadri con disegni di artisti del Comicon, di cui i fratelli Di Porzio sono grandi sostenitori sin dalla prima edizione. E poi quadri, tanti quadri di artisti che si susseguono in un’idea di mostra continua che arricchisce di sensazioni e armonia il momento in cui i clienti godono dei piatti della tradizione napoletana.

LORELLA E LA STORIA DI QUELLA RAGAZZA CHE SCOMMISE SUI VITIGNI AUTOCTONI

“Siamo fieri della storia del nostro ristorante – ci racconta Lorella quando ci accoglie. È con lei che chiacchieriamo ed è lei che ci fa scoprire il legame profondo della loro realtà con Slow Food e con l’Alleanza dei Cuochi – le foto alle pareti di Umberto 1916, raccontano di momenti felici con personaggi che hanno fatto la cultura della nostra città. La cucina lega, la cucina intrattiene, ed è uno degli elementi più importanti della nostra identità”

“Siamo da sempre nel movimento Slow Food. Per noi la filosofia dell’accoglienza, della tutela del territorio, del legame con i piccoli produttori è qualcosa che fa parte della nostra stessa famiglia. Dall’immagine stessa di quando mio padre andava a fare la spesa al mercato per il ristorante. È da lì che abbiamo imparato tanto: dalle generazioni che ci hanno preceduto.”

Di formazione classica, laureata in matematica, Lorella diventa sommelier da giovanissima. Il vino è il suo grande amore, fa parte delle “Donne del vino”, è delegata campana dell’associazione per 3 anni.

“Il vino è la mia più grande passione. Ti permette di avere un approccio e una visione ampia sulla geografia, sull’ambiente, sui cambiamenti della terra e del clima. Ho scelto la strada del vino per avere un ruolo nel ristorante di famiglia ed è stato proprio grazie a questa strada che negli anni ’90 ho rischiato”

Il rischio nell’imprenditoria è una costante, ma la storia di quella ragazza che poco più che ventenne cambia rotta rispetto alle scelte del padre e punta tutto su un’altra direzione, ci regala una riflessione diversa dal mero calcolo degli investimenti giusti o sbagliati.

“Fu una vera e propria rivoluzione copernicana all’epoca – ci racconta Lorella – le aziende vinicole del nostro ristorante Umberto 1916, erano principalmente del nord, ma io sapevo che il mercato del vino stava cambiando. Volevo puntare sul mio territorio, su vitigni autoctoni e mio padre me ne diede la possibilità, sostenendo le mie scelte.”

Il resto lo conosciamo, in questo caso potremmo davvero dire che, il resto è storia, ma per arrivare ad oggi la strada non fu semplice.

“La responsabilità di una scelta nel locale della tua famiglia la senti tutta – riflette con noi Lorella – il pubblico, la clientela, sempre più competente, con gusti precisi, si affida a te in un rapporto di fiducia profondo. E quando scegli per i tuoi clienti è come se scegliessi per la tua famiglia.”

IL LEGAME CON I CLIENTI CHE SI TRAMANDA DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

Siamo certi che la storicità di un ristorante si misura anche dalla sua clientela: intere generazioni delle stesse famiglie si sono susseguite ai tavoli di Umberto 1916.

“Il rapporto con il cliente è sempre stato un elemento centrale nel nostro modo di fare ristorazione – ci dice Lorella – anche mio padre, che era più distaccato dalla cucina , era al contatto con il pubblico.

Dall’accoglienza, alla guida nella scelta, dalla cura all’attenzione fino a fine pasto, ogni momento noi dobbiamo esserci, in maniera discreta ma il cliente deve riconoscere noi come punto di riferimento. Solo così si instaura un rapporto di fiducia che dura nel tempo. Addirittura negli anni.”

“Sabato scorso, ad esempio, è capitato un episodio che mi ha emozionato – racconta sorridendo Lorella. – Può sembrare qualcosa di semplice, normale, e lo è di fatto, ma porta con sé un carico di significati importanti per noi. Ha prenotato il tavolo per mangiare una pizza il nipote di un nostro affezionato cliente storico. Prima il nonno, poi il padre, adesso lui, ragazzino che con i suoi amici sceglie Umberto per mangiare una pizza di sabato sera.”

Cresciuti a “pane e Umberto”, qui a Napoli deve essere una gran bella cosa. Anche perché i piatti che vediamo uscire dalla cucina hanno tutti un aspetto invitante e un profumo che ci porta subito a dire: passiamo dunque al piatto dedicato allo speciale.

MESCAFRANCESCA CON PATATE, PROVOLA E SALSICCIA DI CASTELPUOTO ED È SUBITO “WOW!”

“Per questo speciale volevamo presentare un piatto della tradizione visto a modo nostro – ci spiega Lorella – perché siamo convinti che per definire un’identità bisogna rispettare e proporre piatti simbolo della cucina napoletana, ma allo stesso tempo cercare di dare una versione diversa, anche secondo la nostra esperienza, la nostra ricerca.

Il nostro lavoro a volte rischia di diventare monotono. Dunque dobbiamo sempre cercare di spingere una novità, un abbinamento, senza mai snaturare il piatto e la cucina partenopea che ci caratterizza da generazioni.”

E nulla si snatura in questa pasta e patate con la provola e la salsiccia di Castelpuoto. A cominciare dal nome che racconta storie di dominazioni francesi e di resilienza tutta napoletana.
“Ammesca Francesca o mescafrancesca altro non è la pasta mista, come noi la conosciamo ormai anche nei più famosi brand di pasta che usiamo quotidianamente.

Ma il suo nome viene dalla storia della nostra città. Ossia da quando, sotto la dominazione francese, i napoletani raccoglievano gli avanzi della pasta sul fondo dei sacchi dei nobili e li usavano per preparare zuppe e minestre di legumi.

Oltre a recuperare la pasta, i napoletani prendevano anche un po’ in giro, così si racconta, i francesi dando il nome alla pasta, che inizialmente in termine dispregiativo era ammesca francese.”

Il recupero, elemento cardine nella lotta allo spreco alimentare, la salsiccia di Castelpuoto presidio Slow Food, rendono questo piatto un vero e proprio racconto. La cronaca di una cucina che va oltre la bontà dei sapori, una cucina che parla di storia, identità e valori importanti per cui lottare.

“Il tutto accompagnato – l’abbinamento del vino non può mancare, ancora di più se è Lorella in persona che lo propone – da una Coda di volpe del beneventano.”

 

Umberto 1916 link

MEatingNews l’Alleanza dei Cuochi Slow Food link

Donna sorridente in un ristorante luminoso

Valentina Castellano

Sociologa di formazione, diventa giornalista pubblicista raccontando le realtà e le storie del food napoletano. Sogna una narrazione di Napoli lontana dai loghi comuni e lavora per mettere in luce le infinite relazioni e contatti tra cultura e cibo, storia e territorio, persone e piatti della tradizione.
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