Incontro Peppe Flamingo CEO e fondatore del marchio Don Peppinu durante una video call, una calda mattina di agosto. Non è la prima volta che intervisto imprenditori di successo, e ormai riconosco il modo di fare che li accomuna.
Hanno tanto da dire perché hanno fatto tanto. Poche domande, e lascio che la conversazione scorra, guidata dall’entusiasmo e dalla professionalità del brillante gelatiere, diventato tale per scelta, dopo un percorso di studi di tutt’altro genere.
Ha fatto parte del direttivo dell’Associazione Culturale dei Gelatieri per il Gelato e dei Maestri Gelatieri selezionati ogni anno da Sherbeth Festival, e continua a lavorare con l’obbiettivo di far conoscere e valorizzare il Gelato artigianale di tradizione siciliana.
Peppe, la storia della tua famiglia è molto interessante. Tuo nonno ha iniziato producendo delle cialde per gelato, poi tuo padre, e adesso tu, siete riusciti a far crescere e prosperare l’azienda storica.
“Il nostro, non è un racconto straordinario, ma sicuramente particolare, lungo tre generazioni.
Mio nonno aveva un’attività che a sua volta aveva ereditato. Un vecchio frantoio di pietra per la produzione di olio. Lavoro stagionale, che si sviluppava in pochi mesi autunnali quando si doveva procedere alla molitura delle olive.
Così, nel 1960, quando compì 36 anni, decise di diversificare le entrate e gli venne questa idea strana, che io non ho mai capito, ovvero di fare i coni per i gelati. Strana perché, produrre i gelati è un conto, così come produrre olio, ma realizzare le cialde è decisamente più di nicchia, persino oggi nel 2023.
Cominciò in questo modo, la nuova attività artigianale, oserei dire casalinga, perché allestì il piano seminterrato della sua abitazione con delle macchinette manuali manovrate da mia nonna, con giusto un paio di aiutanti.
Mio nonno partiva la mattina molto presto con il camion pieno di cialde e cercava di piazzarle per tentata vendita. Non tornava a casa finché non aveva smerciato fino all’ultimo cartone.
È evidente che conducesse un’esistenza piuttosto dura, così mia nonna si prodigò affinché mio padre si laureasse a Catania in Scienze Politiche, augurandosi per lui una vita meno sacrificata.
Ma non aveva tenuto conto della predestinazione, che fece tornare mio padre a casa, e lo portò a proseguire l’attività di famiglia, dovendo sostituirsi a mio nonno, colpito da un Alzheimer precoce.”
Invece, la tua storia di gelatiere quando inizia?
“Ero un bambino curiosissimo, quasi a livelli maniacali. Riempivo di domande incalzanti chi mi stava intorno, e non ero mai soddisfatto delle risposte.
Cresciuto con i nonni perché i miei genitori erano entrambi molto impegnati con il lavoro, durante i lunghi pomeriggi trascorsi insieme, ricordo nitidamente che si guardavano le “telenovelas” sudamericane. Durante una puntata, un avvocato impegnato in una causa in tribunale ripeteva continuamente: “Obiezione”!
Rimasi colpito e dovevo capirne il perché, così chiesi a mia nonna il significato di quella parola. Lei, sperando in un rapido appagamento della mia curiosità, mi rispose semplicemente: “Peppe, ogni volta che un avvocato dice la parola “Obiezione”, guadagna tantissimi soldi.”
Questo, può sembrare solo un episodio divertente ma in realtà mi ha segnato e ha stimolato la mia ambizione, tanto è vero che, già in prima media, sapevo che cosa avrei fatto da grande, e finito il liceo scientifico, con le idee ancora più chiare, mi iscrivo in giurisprudenza.
I miei erano ben contenti di questa scelta, per i motivi soliti. Vedevano infatti l’attività di famiglia troppo pesante e faticosa. Ma evidentemente, così come mio nonno e poi mio padre, ero destinato a intraprendere questa strada.
Oggi, col senno di poi, ritengo sia stata una cosa giusta. Perché non so, se scegliendo la carriera forense, avrei realizzato a parità di tempo, quanto ho creato con il gelato.”
Quindi sei convinto della decisione presa?
“Assolutamente sì, anche perché dettata da una grande passione. Poi, in qualche modo, ho sentito la responsabilità familiare: mio papà era il primogenito, io sono il primogenito e mio nonno era figlio unico. Tra le altre cose, io ero in una linea diretta di discendenza da ben 15 generazioni, a portare il nome di Peppe Saro. Non potevo essere il fautore della chiusura dell’azienda. Questo, sinceramente mi sarebbe dispiaciuto molto.
Avevo 23 anni, non ero ancora laureato, son tornato a casa quando mi mancava un esame e la tesi. È stato un grande cambiamento nella mia vita, perché son passato dall’aiutare ogni tanto mio padre durante le vacanze estive, a trovarmi impiegato stabilmente. Ma devo dire che è stata una cosa molto naturale.
Oggi con me c’è mio fratello più piccolo che si occupa di amministrazione. Quando abbiamo iniziato ad affiancare mio padre, avevamo giusto un paio di collaboratori stagionali. Quindi, per allargare il cosiddetto giro di clienti, oltre a continuare a vendere cialde per gelati, decido di provare a commercializzare anche altri prodotti utilizzati in questo campo.
Noi compravamo dalle industrie di semilavorati, delle bustine contenenti polveri da addizionare all’acqua. Si buttava tutto dentro il macchinario e il gelato era pronto. Le distribuivamo alle aziende del settore. Allora, chi non comprava i preparati da me, li comprava da un mio competitor. Non c’era nessuno che mi dicesse, – Il mio gelato è artigianale, quindi non uso questi prodotti -.
Nel 2011 decido di aprire la prima gelateria a Marina di Ragusa. A quei tempi, proponevo otto gusti di frutta, che in realtà non contenevano neanche un grammo di ingredienti freschi, perché lavoravo solo con i semilavorati.”
Allora, facciamo un attimo di chiarezza. Tu inizi a commerciare questi semilavorati e poi decidi di aprire una tua gelateria?
“Sì, perché andando in giro e conoscendo altri gelatai, mi ero fatto l’idea che fosse un’attività semplicissima. Una bustina di polveri, miscelata con dell’acqua, ed ecco il risultato finito.
Oggi mi vergogno un po’ a dirlo, ma allora nei gelati non c’era un grammo di ingredienti freschi. Erano liofilizzati, con aromi e coloranti perfettamente nella norma, e tutti lavoravano così. Qualcuno aggiungeva un po’ di frutta, ma solo ed esclusivamente per estetica. Dichiaravano seraficamente che utilizzavano gli aromi e i coloranti come “rinforzo” perché il gelato fatto solo con la frutta non sapeva di niente.
Questo probabilmente perché la generazione precedente alla mia, aveva acquisito un modo di pensare legato all’evoluzione economica e industriale, che di fatto, vedeva nelle macchine una risposta al bisogno di alleggerire e semplificare il lavoro. Per lo stesso motivo, in quegli anni, ci fu un boom nell’utilizzo dei preparati alimentari industriali. Era il progresso che prendeva forma e che veniva accolto senza condizioni.
Così, fino ai nostri tempi si è coltivata l’idea che lavorare con ingredienti naturali, che richiedevano un impegno molto maggiore, fosse un qualcosa di insensato. Si preferiva utilizzare quelli artificiali, più veloci e semplici da trattare, che ti facevano ottenere il miglior risultato con il minor dispendio di energia.”
Oggi le cose sono cambiate?
“Purtroppo, secondo il mio parere, ancora nel 2023, non c’è una vera cultura del gelato. Neanche tra coloro che dovrebbero testimoniarne la buona qualità, come i giornalisti del settore.
Se noi oggi andiamo a vedere la lista di coloro che hanno avuto dei riconoscimenti da parte di guide prestigiose, come quella del Gambero Rosso, troviamo tra i pluripremiati una buona percentuale di utilizzatori di bustine, che non si limita a questo, ma addirittura le promuove!
E così, vedi in Fiera al Sigep, gelaterie a cui sono stati attribuiti i “Tre Coni”, con i loro preparati industriali e i loro piccoli stand, a decantarne le lodi. A voler fare un paragone, è come se Massimo Bottura usasse il dado di glutammato per fare un brodo, e ottenesse l’approvazione e il seguito dei clienti e dei colleghi.
Questo fa capire che, anche chi si pronuncia per stilare delle graduatorie, in realtà non ha una conoscenza sufficientemente approfondita per poter esprimere giudizi dalla valenza insindacabile.
Ritieni davvero che sia una questione di preparazione da parte degli ispettori?
È di dominio pubblico che i primi a fare queste classifiche siano stati quelli di un noto giornale online. Classifiche che, col tempo, si sono rivelate per tutta una serie di motivi, poco attendibili.
E altri esperti del settore, andando a ripubblicare le stesse classifiche, senza cambiare una virgola, hanno addirittura inserito in modo approssimativo, locali che nel frattempo avevano chiuso, arrivando a premiarli con il massimo riconoscimento. È palese che questo sia indice di poca attenzione, in particolare per i consumatori, e che ci sia qualcosa che non funzioni come dovrebbe.”
Torniamo al tuo percorso e alla vostra evoluzione. Quando hai avvertito, che volevi allontanarti dal conformismo, e provare a creare qualcosa di nuovo?
“Il confronto con i clienti che compravano i nostri prodotti, mi ha aperto gli occhi e aiutato a capire. Perché, fortunatamente, nel tempo, ho trovato qualcuno che ragionava in modo diverso e dava importanza agli ingredienti di base. Quindi non utilizzava la margarina bensì il burro, non il preparato di panna vegetale ma quella fresca, cercava la frutta secca locale, decisamente più saporita.
Erano davvero pochissimi, ma con loro io amavo parlare, perché mi spiegavano la differenza tra cioccolato puro e surrogato, tra il mix per il pan di spagna, e la farina con le uova lavorate a lungo e nel modo giusto, e così via.
Da qui sono partito, con l’idea che il settore andasse in qualche modo rivoluzionato, consapevole che per procedere in tal senso, servissero i giusti mezzi. Ma non solo, c’è un episodio al quale si può ricondurre l’inizio del cambiamento.
Tutto è nato da un mio amico veneto, venuto a trovarmi in laboratorio. Uno dei nostri argomenti di conversazione più trattati era quello legato al cibo di qualità. Mentre è qui, prova il gelato e non si esprime.
Dopo qualche giorno, incuriosito gli chiedo se gli fosse piaciuto e come fosse andata la prova assaggio. Premetto che per me, il nostro gelato era già un’eccellenza.
Imbarazzato mi risponde con sincerità e mi dice che, secondo lui, era un prodotto mediocre.
Puoi ben capire che è stata una doccia fredda, perché in quel momento stavo utilizzando quelle che ritenevo le migliori materie prime in commercio. Che in realtà, pensandoci bene, erano i migliori semilavorati delle migliori aziende industriali in commercio. Da lì si sviluppa una vera ossessione, e inizio a intraprendere questo percorso di rinnovamento.
Ho la fortuna di avere un background culturale e professionale formato, avendo conseguito una laurea in giurisprudenza. Ho fatto una scelta consapevole e l’ho coltivata, in maniera molto attenta, buttandomi nella formazione, nella ricerca, provando a capire cosa avviene a livello chimico-fisico quando si abbinano due ingredienti diversi.
L’ho fatto davvero con tanta passione, e noi oggi rappresentiamo l’unica gelateria artigianale in Italia, probabilmente nel mondo, che può affermare di produrre e trasformare nel proprio laboratorio, tutti gli ingredienti utilizzati per i gelati che commercializza.
Non c’è nessun altro che abbia una filiera così estesa e controllata come la nostra. Sono talmente sicuro di quanto dico, che sono disposto a un confronto diretto con giornalisti e addetti al settore, chiedendogli, dopo avergli fatto visitare i nostri stabilimenti, se abbiano mai visto da altre parti, una realtà del genere.
Noi partiamo dalle cialde, trattiamo le nocciole crude, trasformandole con l’aggiunta di olio, zucchero e cacao, in pasta cremosa e poi in gelato. Stesso discorso con i pistacchi e con le arachidi. Facciamo anche le marmellate, i cornetti con il lievito madre, produciamo nei giusti periodi anche le colombe e i panettoni, con lo stesso severo metodo.
Nonostante l’evoluzione, la meccanizzazione di alcune fasi di lavorazione, e l’acquisizione di strumenti moderni, noi di Don Peppinu, più cresciamo e più restiamo artigiani. Ecco la nostra peculiarità.
Tradizione e innovazione, a questo penso quando devo creare una ricetta o anche organizzare un nostro negozio. Perché sono fortemente legato a un concetto di territorio, ai nostri colori, i nostri profumi, a tutto quanto riporti alla tradizione. Nel contempo, non rinunciando all’innovazione, che rappresenta una crescita, usando dei prodotti di qualità ma con metodi di lavorazione moderna per ottimizzare il risultato.
Per farti capire, fino allo scorso anno, compravamo da dei fornitori, la pasta di nocciole e la pasta di pistacchio. Tutte le gelaterie, anche quelle artigianali, utilizzano delle paste industriali già pronte: è assolutamente una cosa normale. Ecco, noi abbiamo scelto di andare oltre la normalità.
Da lì in poi la crescita qualitativa è stata iperbolica, e anche il mio gusto si è evoluto.
Impiegando i macchinari più innovativi presenti sul mercato, riusciamo a svolgere tutta una serie di operazioni prima impensabili. Questo non necessariamente ci semplifica il lavoro, ma ci consente di portare avanti una scelta etica. Scelta che implica l’investimento di ingenti somme in attrezzature e in personale, ma che ci permette di avere un controllo totale della filiera.
Ti faccio un altro esempio, fino allo scorso anno, per le colombe e i panettoni, abbiamo utilizzato i canditi di una marca riconosciuta come il top assoluto nel mercato. Nell’ultima stagione, li abbiamo sostituiti con i canditi fatti da noi, e mi sono reso veramente conto della profonda differenza. Anche i nostri clienti hanno apprezzato il miglioramento.
Certo, è più facile fare una telefonata e un bonifico e far arrivare 1000 kg di prodotto già pronto. Preparare i canditi in laboratorio, rappresenta una mole di lavoro veramente importante, ma vedi, io oggi, ragiono per emozioni, e mi approccio alla mia attività da appassionato.”
Da come parli si capisce perfettamente che portando avanti questo progetto, nutri la tua passione. Ma quali sono i risultati di questa strategia?
“Da imprenditori attenti e responsabili, abbiamo puntato sul raggiungere l’eccellenza, anche nella gestione finanziaria, amministrativa ed economica. Grazie all’impegno profuso da parte di tutti, l’azienda produce e funziona bene.
C’è poi la parte legata agli investimenti, che riteniamo siano indispensabili per una crescita veloce; quindi, ci dotiamo di quanto più innovativo i fornitori siano in grado di proporci, puntando sempre al Top di Gamma.
Oggi può sembrare pura follia il nostro operato. Perché potremmo avere un magazzino e un laboratorio centralizzato, piuttosto che 15 collaboratori in regola, che implicano un volume di costi molto alto.
Comprando i semilavorati, trasformandoli e rivendendo il prodotto finito, che poi è quanto fanno più o meno tutti i miei competitor, non avremmo bisogno di molte più attrezzature di qualsiasi altra azienda del settore, con conseguente impatto sul bilancio, dato anche dalla manutenzione costante e dalle spese energetiche, sempre più pesanti da sostenere.
Basterebbero pochissimi dipendenti, qualche operaio specializzato, un magazziniere che cura la logistica, una segretaria che si occupa delle fatture.
Per noi è veramente una passione quella che ci spinge a adottare queste strategie. Passione che non sempre viene capita, e infatti, oggi, siamo ampiamente contestati, anche dai colleghi, perché, secondo loro, i nostri gelati sono troppo costosi.”
Spiegami meglio…
“Ragionando da imprenditore, se per i miei prodotti utilizzo il pistacchio nazionale a 45 € al chilo, (quello di Bronte addirittura costa 58 € al chilo) è ovvio che debba ammortizzare la spesa.
Tutto quanto ti ho elencato prima, implica l’ottenimento di un prodotto che supera in qualità qualsiasi altro attualmente sul mercato, ma anche il sostenere dei costi elevati, che vanno a incidere sul prezzo di vendita.
Da Don Peppinu un cono piccolo costa 3 euro e 50, che per una gelateria del sud Italia risulta piuttosto alto.
Ti ho raccontato quale sia la nostra quotidianità, fatta di impegno costante su tutti i fronti, ma non basta solo questo per far conoscere a fondo quanto ognuno di noi investa nell’ottenimento di quel prodotto eccezionale che i clienti trovano nei punti vendita Don Peppinu.
Sono i gelati che parlano per noi. Le persone che fanno lunghe file per poterli assaggiare, quelle che acquistano i nostri lievitati, e con il passaparola ne richiamano altre, sono tutti coloro che ci seguono e ci chiedono di portare i prodotti nelle loro città.
Questa è la nostra soddisfazione più grande, le critiche sterili non contano. I clienti che apprezzano questa qualità, la riconoscono e accettano di pagare un prezzo superiore rispetto al solito.
Il gelato Magnum (per citarne uno) che compri al bar, che paghi 2 euro e 50 e pesa 50 gr ti costa 50 euro al chilo.
Noi che siamo i più cari e per questo ci vogliono mettere in croce, vendiamo a 22 € al chilo. Ma come si fa a fare il paragone dei costi che ha un’industria che sforna un milione di gelati al giorno, con noi, che un milione di gelati li produciamo in un anno?
È ovvio che loro hanno dei costi proporzionalmente più contenuti eppure vendono a un prezzo molto alto. Serve quindi una giusta educazione alimentare.”
Continua…
(Crediti foto Don Peppinu-Peppe Flamingo)