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Di Alessandra Persico

11 Dicembre 2025

Di Alessandra Persico

11 Dicembre 2025

Ogni città ha caratteristiche uniche che ne definiscono l’identità. Non sono solo piazze e monumenti a raccontarla, spesso ciò che colpisce di più è un piatto tradizionale, un locale trovato quasi per caso, un odore che sorprende in strada o un bancone al mercato che parla più di qualsiasi guida turistica.

Il cibo, in quest’ottica, può diventare una vera chiave d’accesso a un luogo, un linguaggio semplice, immediato e universale, una mappa culturale fatta di memorie, storie familiari e abitudini che resistono nel tempo.

Alla domanda: “Si può davvero capire una città dal modo in cui si mangia e dai suoi piatti tradizionali?” la risposta è affermativa.

Numerosi studi sostengono questa tesi

Uno dei più interessanti è “You Are What You Eat (and Drink)”, pubblicato nel 2014 dalla Cornell University che ha analizzato migliaia di check-in su Foursquare per capire come le abitudini alimentari e di consumo cambino da una città all’altra.

I ricercatori hanno scoperto che ciò che le persone mangiano e bevono permette di tracciare veri e propri confini culturali tra regioni e comunità. Le scelte gastronomiche quotidiane diventano indicatori dell’identità locale.

A questa prospettiva si collega anche lo studio del 2017 sul caso di Lione pubblicato da Springer Nature e intitolato “The Food Territory: Cultural Identity as Local Facilitator in the Gastronomy Sector”. Esso si concentra sul rapporto tra gastronomia e identità urbana, dimostrando che il cibo non è solo una tradizione, ma una parte essenziale della geografia culturale della città. La rete di mercati, produttori e ristoranti storici crea infatti un “territorio gastronomico” riconoscibile, che rafforza il senso di appartenenza e aiuta a comprendere come la città si racconta.

Da un piatto possono trasparire molte informazioni sulla cultura e l’identità di una città, come il ritmo della vita, le influenze culturali, il bilanciamento tra tradizione e innovazione

Ad esempio, il caffè napoletano è più di una semplice bevanda, è considerato un rito collettivo, un momento di pausa e un’occasione per scambiare due chiacchiere. A Milano, invece, il pranzo veloce riflette il passo frenetico della città, mentre in Sicilia la tipica colazione con granita e brioche celebra la lentezza e la tradizione locale.

Ogni città ha una mappa tutta sua che non appare sulle cartine, ma nei sapori. Basta guardare dove si concentra lo street food o quali zone ospitano ancora botteghe storiche. I mercati coperti, in particolare, raccontano la vita reale delle persone meglio di qualsiasi altro luogo, mostrando quotidianità e contaminazione culturale.

E poi ci sono i piatti tipici che nascono solo in un certo territorio. La mozzarella di bufala nella piana del Sele o la focaccia nei vicoli pugliesi, coordinate gastronomiche che segnalano immediatamente dove ci si trova.

Ci sono città che ho iniziato a capire davvero grazie a ciò che ho mangiato

Napoli, ad esempio, la si può comprendere solo attraverso le piccole cose: la bancarella che frigge zeppole e panzarotti fin dal mattino, la pizza a portafoglio presa al volo, l’incrocio di profumi che pervade le strade. Tutto ciò sottolinea quanto qui il cibo sia un modo spontaneo di stare insieme, un qualcosa che unisce più delle parole.

Nel Cilento, invece, il ritmo è diverso, più lento, agricolo, quasi meditativo. Una mozzarella di bufala ancora tiepida di caseificio e la dolcezza dei fichi maturi riflettono il tempo rallentato della vita locale.

A Roma ho imparato che il cibo può essere autentica tradizione, diretta e schietta. Una cacio e pepe o una carbonara in una trattoria rumorosa di Trastevere raccontano più della città di molte passeggiate.

A Londra, attraverso i mercati come Camden, ho percepito una città che ospita molte identità diverse, ogni piatto è una tessera di un mosaico multiculturale.

Lo stesso vale per New York, dove però bisogna far fronte a un ritmo di vita frenetico. Un bagel preso al volo la mattina, un corn dog durante una passeggiata, un ramen fumante a mezzanotte, una fetta di pizza mentre si cammina per la Fifth Avenue, lì si mangia alla stessa velocità con cui la città vive.

In conclusione, ogni luogo possiede un’identità gastronomica unica

Osservare sapori, gesti e abitudini quotidiane significa comprendere la cultura e la trasformazione di una città; per questo, il cibo può essere definito un linguaggio universale, che assume sfumature diverse in base al contesto locale.

E forse è proprio questo il bello. Per capire davvero una città non serve una guida complessa, basta un odore, un piatto e un po’ di curiosità. Perché la geografia più autentica di un luogo è sempre quella che si assaggia.

Alessandra Persico

Napoletana, laureata in Culture digitali e della comunicazione, sono sempre alla ricerca di storie da raccontare. La scrittura è il mio modo di osservare e comprendere ciò che mi circonda, e di dare forma a ciò che sento. Nel food&beverage ritrovo una sensibilità che mi appartiene fatta di dettagli, ricordi e piccole meraviglie che amo cogliere e trasformare in parole.
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