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Shrinkflation è un termine che nasce dalla fusione delle parole inglesi “shrink” (restringere) e “inflation” (inflazione). Fenomeno sempre più diffuso, mette a dura prova la fiducia dei consumatori. Si verifica quando la quantità di prodotto in una confezione viene ridotta, ma il prezzo rimane invariato o, in alcuni casi, addirittura aumenta. Questa strategia, sebbene non sempre illegale, è considerata una pratica commerciale scorretta perché non informa chiaramente il consumatore sulla diminuzione del contenuto.

Come funziona la shrinkflation?

L’obiettivo principale della shrinkflation è permettere alle aziende di aumentare i profitti o di contenere i costi di produzione e logistica senza che il consumatore se ne accorga immediatamente. Poiché il prezzo della confezione rimane lo stesso (o varia di poco), l’utente tende a non percepire la modifica e a mantenere le proprie abitudini di acquisto. È più facile che un consumatore noti un aumento di prezzo, piuttosto che una leggera riduzione del peso o del numero di unità in una confezione.

Esempi comuni di shrinkflation

Un pacco di pasta che passa da 1 kg a 950 grammi.
Una confezione di mele che contiene 9 elementi anziché 10.
Un abbonamento telefonico che copre 29 giorni anziché 30.

Un esempio emblematico di shrinkflation è quello del Toblerone. Nel 2010, a seguito dell’aumento dei costi del cioccolato svizzero, il produttore Mondelez ridusse il peso della famosa barretta da 200 g a 170 g e successivamente a 150 g, mantenendo il prezzo invariato. Analogamente, molti gelati confezionati e prodotti stagionali, come panettoni e pandori, hanno subito riduzioni di peso non sempre esplicitate.

Spesso, questa riduzione di quantità viene implementata in concomitanza con un restyling del packaging, rendendo le modifiche meno evidenti e difficili da cogliere per il cliente distratto. Infatti, la shrinkflation sfrutta la tendenza dei consumatori a mantenere invariate le proprie abitudini di acquisto. Nel frenetico ambiente del supermercato, o anche negli shop online, l’attenzione si concentra spesso sul prezzo finale del prodotto, tralasciando la verifica del peso o della quantità specifica. Questa consuetudine, radicata nella routine quotidiana, rende i consumatori vulnerabili a modifiche sottili che passano inosservate.

Questo è un fenomeno che, nonostante sia diffuso da anni, ha subito un’impennata dopo il periodo Covid. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), tra il 2012 e il 2017 sono stati registrati in Italia, ben 7.306 casi di shrinkflation, a dimostrazione di quanto sia frequente questa pratica. Anche le piccole imprese, di fronte all’aumento dei costi di produzione, possono essere tentate di ricorrere alla shrinkflation per salvaguardare i profitti. Tuttavia, questo approccio rischia di minare ulteriormente la fiducia del consumatore, un asset fondamentale, specialmente per le realtà locali che basano il loro successo sul rapporto diretto con la clientela.

La risposta legislativa italiana 

Di fronte alla crescente diffusione della shrinkflation e alle denunce delle associazioni dei consumatori, il governo italiano ha deciso di intervenire. Il 4 dicembre 2024, la Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge sulla Concorrenza che introduce un nuovo articolo (15 bis) nel Codice del Consumo, volto a contrastare la mancanza di trasparenza legata a questa pratica.

Dal 1° aprile 2025, i produttori che commercializzano prodotti la cui quantità nominale è stata ridotta, pur mantenendo inalterato il precedente confezionamento e con un correlato aumento del prezzo per unità di misura, saranno obbligati a informare il consumatore. La segnalazione dovrà avvenire tramite l’apposizione di una specifica dicitura sul campo visivo principale della confezione o su un’etichetta adesiva, che reciterà: “Questa confezione contiene un prodotto inferiore di X (unità di misura) rispetto alla precedente quantità”. L’obbligo informativo sarà valido per un periodo di sei mesi dalla data di immissione del prodotto.

Nonostante le intenzioni positive, la misura italiana contro la shrinkflation ha presentato alcune criticità, tanto da indurre la Commissione UE ad avviare una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Il problema risiede nella mancata osservanza delle regole europee relative alla cosiddetta “procedura TRIS” (Technical Regulation Information System).

Quando uno Stato membro intende introdurre nuove regolamentazioni tecniche che potrebbero limitare la libera circolazione di prodotti e servizi nel Mercato Unico dell’UE, è tenuto a notificare la misura alla Commissione Europea e agli altri Stati membri. Questo innesca un periodo di “standstill” di tre mesi (prorogabile a sei) durante il quale l’iter normativo deve restare sospeso per consentire la valutazione di compatibilità con la legislazione europea.

L’Italia ha notificato la misura il 7 ottobre 2024, e il periodo di “standstill” sarebbe scaduto l’8 gennaio 2025. Tuttavia, a seguito di un parere circostanziato della Commissione Europea, il periodo è stato prorogato fino all’8 aprile 2025. Nonostante ciò, il Parlamento italiano ha approvato definitivamente la legge il 12 dicembre 2024, prima della scadenza del periodo di sospensione e con modifiche rispetto alla versione notificata, senza effettuare una nuova notifica. Questa violazione delle procedure europee rende l’Italia vulnerabile a una procedura d’infrazione e, in caso di esito negativo, al pagamento di multe salate.

Italia vs. Francia: approcci a confronto

Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha citato la Francia come esempio di paese che ha introdotto una normativa simile. Informazione veritiera, visto che la Francia ha adottato un decreto (del 16 aprile 2024, modificato il 28 giugno) che obbliga i distributori di prodotti di grande consumo con superficie di vendita superiore a 400 metri quadrati a comunicare le riduzioni di quantità a parità di prezzo. L’indicazione può essere apposta direttamente sull’imballaggio o su un cartello vicino al prodotto, ed è valida per due mesi dalla messa in vendita.

Tuttavia, esistono differenze cruciali e precisamente:

Il soggetto dell’obbligo. In Italia l’obbligo ricade sui produttori, in Francia sui distributori.
La modalità di informazione. In Italia è richiesta un’etichetta sulla confezione, senza alternative. In Francia è ammesso anche un cartello vicino al prodotto.
La conformità UE. La Francia ha rispettato la procedura di notifica europea. L’obbligo dell’etichetta senza opzioni, imposto dall’Italia, potrebbe creare ostacoli alla libera circolazione dei prodotti all’interno del mercato unico europeo.

Pro e contro della normativa italiana

Il legislatore italiano ha tentato di fare chiarezza e limitare le pratiche commerciali discutibili con la sua ultima iniziativa. Eppure, non sono mancate le voci critiche, che ne mettono in dubbio efficacia e proporzionalità. Secondo alcuni infatti, l’intento di informare i consumatori potrebbe essere raggiunto con strumenti meno vincolanti e con un minor peso sul commercio europeo. L’esempio della Francia, in tal senso, ne sarebbe una dimostrazione.

Inoltre, la nuova normativa italiana sembra ignorare un aspetto cruciale: l’impatto ambientale legato agli imballaggi. Se il contenuto si riduce ma la confezione rimane la stessa, ci troviamo di fronte a uno spreco di risorse e a un aumento dei rifiuti.

Da non trascurare anche un’altra questione fondamentale. Infatti, l’obbligo di informazione si attiva solo se l’imballaggio precedente resta inalterato. Questo significa che, con una minima modifica alla confezione, un produttore potrebbe ridurre la quantità di prodotto e aumentare il prezzo per unità di misura senza dover fornire alcuna indicazione. Una scappatoia che rischia di compromettere la trasparenza.

È importante notare che, oltre alla shrinkflation, esiste una tendenza simile chiamata skimpflation.

Quest’ultima si riferisce alla riduzione della qualità di un prodotto o di un servizio per risparmiare denaro, ad esempio utilizzando ingredienti più economici o tagliando i servizi offerti da un hotel o un ristorante. Anche in questo caso, il consumatore si trova di fronte a un prodotto o servizio apparentemente invariato, ma con un valore intrinseco inferiore.

L’impatto sui consumatori

Come già precisato, la shrinkflation può essere percepita come ingannevole, anche se non dichiarata illegale. Le associazioni dei consumatori denunciano la mancanza di trasparenza, sostenendo la necessità di etichette che permettano un confronto chiaro tra i prezzi per unità di misura. Questa opacità può compromettere la fiducia verso i marchi, spingendo molti consumatori a optare per prodotti no logo o a marchio del distributore, percepiti come più affidabili. Di fronte a queste pratiche, il ruolo del consumatore diventa fondamentale. Leggere attentamente le etichette, confrontare i prezzi per unità di misura (costo al chilo o al litro) e non limitarsi al prezzo finale della confezione sono azioni cruciali per difendersi dalla shrinkflation e dalla skimpflation.

L’informazione, seppur con le sue complessità legislative, rappresenta un primo passo verso un mercato più trasparente e scelte d’acquisto più consapevoli.

Sara Sanna

Caporedattore
Sarda, scrive da sempre di enogastronomia, da qualche anno in modo professionale. La passione per questi argomenti è una eredità preziosa della sua famiglia dove le tradizioni culturali si sono radicate in simbiosi col piacere di condividere e di godere della scoperta del buon cibo.
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