“Le stelle sono tante” recitava una réclame di molti anni fa…
E mai come in questi giorni, ogni anno torna puntuale il pensiero alle stelle Michelin, numerose, ambite, amate e ultimamente, almeno così pare, anche un po’ odiate.
L’Italia, con un totale di 385 ristoranti stellati, è il terzo paese al mondo nella Guida Michelin, posizionandosi addirittura prima degli Stati Uniti che possono vantarne solo 220.
Prima di noi solo Francia e Giappone che ci sorpassano, oltre che per numero totale, anche per la quantità di ristoranti con tre stelle, massimo riconoscimento della Rossa.
Se ne contano 32 in Francia, 21 in Giappone e “solo” 12 qui da noi grazie all’ingresso, nell’Olimpo tristellato dell’ultima edizione 2023, del ristorante di Antonino Cannavacciuolo Villa Crespi di Orta San Giulio.
Tutto questo almeno fino a martedì 14 novembre, giorno in cui è prevista la rivelazione al grande pubblico, con la cerimonia di assegnazione dell’agognato macaron che si terrà in Franciacorta.
Alle soglie dell’evento stiamo assistendo ad un susseguirsi di proclami e dichiarazioni contrastanti nei confronti del, fino a pochissimo tempo fa, amatissimo riconoscimento.
Partendo dal fatto che la stella Michelin, cioè la segnalazione su una guida inizialmente destinata ai viaggiatori e molto probabilmente lontana dall’élite che conosciamo oggi, nasce appunto come suggerimento per gli amanti dei viaggi e della buona cucina, c’è da ammettere che negli anni sono cambiate un po’ di cose.
Da consiglio per il viandante, la segnalazione Michelin è diventata in molti casi l’unico obiettivo per cui molti ristoranti portano avanti la baracca. E viceversa l’unico motivo per cui, una categoria di clienti sceglie un locale in cui consumare un pasto.
La Michelin si è imposta negli anni come risultato a cui arrivare e come spunto per tutte le guide nate nel tempo, mantenendo sempre, nonostante gli anni, il primato su tutte.
Pare siano 5 i criteri per entrare a far parte di questa Champions League dei fornelli.
Presupponendo che l’assegnazione richieda una cucina di eccellenza, la guida terrebbe conto di 5 principi: la qualità degli ingredienti, l’armonia dei sapori, la padronanza delle tecniche, la personalità dello chef espressa nella sua cucina e, la coerenza nel tempo e dell’intero menù.
A sentir loro (link) non ci sarebbero limitazioni alcune per l’inserimento di un ristorante nella guida, non interferendo l’ambiente, la tipologia, la cantina, la sala… Ci fidiamo.
Ma veniamo a noi: Michelin si, Michelin no.
Fino a ieri desiderata oggi brutta e cattiva?
Tutte le testate di settore si stanno pronunciando e mai come quest’anno le opinioni sono contrastanti.
A dare un’occhiata veloce in giro sembrerebbe che nessuno oggi voglia la Michelin e che i clienti preferiscano esclusivamente i non stellati.
Nella realtà le cose sono un pochino diverse perché, se è vero che l’errore più grande che un ristorante possa fare è quello di lavorare solo per essere nominato in una guida, qualunque essa sia, e non per i propri clienti e soprattutto per la propria sopravvivenza (perché il ristorante è un’impresa e come tale deve fatturare per andare avanti), è pur vero che il settore degli stellati è un piccolo mondo a parte.
Prima della crisi di questi ultimi periodi, l’assegnazione anche di una sola stella Michelin portava un incremento del fatturato notevole già dal primo anno, che ovviamente saliva in misura proporzionale con l’aumento delle stelle.
È innegabile che con la diminuzione del potere di acquisto delle famiglie, le spese destinate al superfluo (quindi anche ai ristoranti) siano state le prime ad essere tagliate, ma questo sicuramente non vale solo per gli stellati.
I riflettori che la Michelin accende sui “suoi” ristoranti di sicuro portano poi una serie di vantaggi ulteriori in termini di sponsorizzazioni, richiesta di consulenze, collaborazioni varie etc. che spesso diventano una fonte di guadagno importante per i locali in questione.
Pare che non siano pochi gli stellati in perdita. Debiti, conti in rosso, sale semi-vuote. Ma nonostante questo, soprattutto i più famosi continuano imperterriti il loro cammino costellato di riviste patinate, aperture negli alberghi più lussuosi del mondo, consulenze, consulenze, consulenze e iniziative solidali.
Ma perché adesso all’improvviso il paffuto omino delle gomme con la sua “erre” moscia d’oltralpe ci è diventato antipatico?
Si grida allo scandalo perché la cucina degli chef in questione sarebbe troppo distante dalla realtà, vuota, impersonale o al contrario troppo personale e poco interpretabile dal cliente, che spaventato continua ad allontanarsi.
Ma questa continua ricerca di qualcosa che è davvero difficile da capire e che sempre più si allontana dal concetto di cucina e probabilmente anche dai criteri indicati dalla stessa Michelin è davvero solo colpa delle stelle?
L’obiettivo di uno chef dovrebbe essere quello di fare il suo mestiere, che seppur oggi ci viene dipinto come una cosa fighissima, è, e rimane un lavoro impegnativo, sacrificato, nel quale l’esperienza, la manualità e la creatività dovrebbero continuare a prevalere sulla telegenia e soprattutto a emergere nei suoi piatti.
Un piatto dovrebbe soddisfare il cliente prima che le fantasie narcisistiche dello chef.
Cosa che per fortuna ancora succede in moltissimi ristoranti e, non lo diciamo troppo in giro viste le ultime tendenze, anche in parecchi stellati.
E se anche spesso e volentieri lo chef non è imprenditore ma solo un “dipendente” di quest’ultimo, in un sistema sano dovrebbero tendere entrambi verso un unico obiettivo che, come dicevamo, dovrebbe riguardare di pari passo la cura e la soddisfazione del cliente nonché la cassa!
Abbiamo elevato sempre di più la cucina a forma d’arte e spettacolo. E se questa eccessiva spettacolarizzazione fosse in parte causa dell’allontanamento di una fetta di clientela? Di chi sarebbe la colpa?
Forse anche un po’ di tutti noi che abbiamo alimentato questo piccolo mondo?
Non dimentichiamo mai però che a differenza di molte altre arti, ci troviamo davanti a un qualcosa di effimero, che cambia, muta, si evolve e non è mai uguale a sé stesso.
Di conseguenza anche il giudizio di quest’arte sarà mutevole e soprattutto soggettivo, non c’è stella, classifica, guida o elenco telefonico che possa passare indenne da questo.
Quindi appuntamento a martedì, tanto si sa che tutti, favorevoli o contrari, saremo incollati agli schermi per seguire la premiazione e scoprire le novità.
Ringraziamo Felice Marchioni per le immagini che ci ha gentilmente messo a disposizione, scattate durante le sue numerose esperienze all’Osteria Francescana. Il ristorante tre stelle Michelin di Modena dello Chef Massimo Bottura.
Anna Orlando Direttore Responsabile
Calabro-lucana di nascita, campana di adozione. Dopo una laurea in Giurisprudenza e molti anni di professione forense, finalmente realizza un (uno dei tanti) sogno nel cassetto e diventa giornalista pubblicista. La passione per il cibo e le collaborazioni degli ultimi anni fanno il resto.