Home

Esplora

Cerca

Ricette

Locali

Aggiungi qui il tuo contenuto offcanvas

Di Sara Sanna

29 Novembre 2025

Di Sara Sanna

29 Novembre 2025

Nella prima puntata di “Dimmi un PO’d CAST” dialoghiamo con il critico gastronomico Valerio Massimo Visintin, tra stelle che brillano troppo, piatti che non raccontano più nulla e verità che spesso nessuno vuole dire, in un viaggio dentro e oltre la “gastro-narrazione”.

C’è chi aspetta l’uscita della Guida Michelin come si attende la tredicesima a dicembre. Certo, non vale per le Partite IVA ma, per molti, nel settore della ristorazione, questo appuntamento annuale, rappresenta un momento quasi liturgico, carico di aspettative e desiderio di riconoscimento. L’arrivo della guida viene vissuto come una sorta di evento salvifico, capace di consacrare chi vi entra e, allo stesso tempo, di determinare la sorte di ristoranti e chef.

Tuttavia, questa attesa non è priva di contraddizioni. La guida esercita un’attrazione misteriosa, simile a quella di una reliquia. Infatti, nonostante le recenti affermazioni da parte degli alti vertici della “Rossa” nessuno conosce in modo chiaro e inequivocabile, i criteri con cui vengono assegnate le stelle, ma tutti ne subiscono il fascino e il peso. La sua influenza va ben oltre una semplice valutazione culinaria, trasformandosi in un meccanismo che finisce per condizionare l’intero settore gastronomico. Così, il rilascio della Guida Michelin diventa ogni anno un atto di fede collettivo, attorno al quale si costruiscono narrazioni, speranze e, anche, delusioni.

E poi c’è Valerio Massimo Visintin, che allo scadere di questo appuntamento smonta la retorica delle stelle come fossero decorazioni di Natale all’Epifania.

L’ultima edizione della “Bibbia Rossa” ha tolto la sola stella rimasta a Gianfranco Vissani, un simbolo della cucina italiana. «Sarebbe un affronto, se questo premio valesse qualcosa», ha recentemente commentato Visintin, con quella sua ironia chirurgica che trova nelle crepe del sistema, la materia prima per una critica radicale.

La sua nausea per la passerella Michelin non è soltanto fastidio estetico, è la denuncia di un meccanismo che, pur restando misterioso e attrattivo per l’intero settore, «Nessuno sa davvero come nasca», ripete da anni.
Ma non è solo un problema di metodo, il fulcro, è il peso culturale che si attribuisce a una classifica che riduce la cucina a un rito iniziatico fatto di simboli, premi e gerarchie.

La cucina non è una gara podistica, e tanto meno un reality

Nei racconti di Visintin emerge un rifiuto netto dell’idea di “alta cucina” come categoria valoriale. «L’alta cucina non esiste, – dice. Esiste semmai l’alta ristorazione, perché è un fatto di costi, servizio, contesto. La qualità è un’altra cosa. E soprattutto, il ristorante non è un luogo di installazioni museali, perché, la cucina è un mestiere, non un’arte concettuale».

È qui che scatta uno dei nodi più critici del dibattito contemporaneo: “la cucina deve emozionare o deve nutrire? E l’emozione, oggi, la si cerca davvero nel piatto o nel racconto che lo accompagna?”

Lui lo dice chiaro: «l’ossessione per l’equilibrio, per il “gioco di consistenze”, per il piatto-spiegazione che richiede un bignami – sono sintomi di una deriva narrativa che ha inghiottito il gesto culinario. Una cucina fatta di sovrastrutture, di mitologie televisive, di “divismi” che si stanno forse attenuando, ma che lasciano in eredità l’idea di chef come star hollywoodiane».

Un’industria che vive di apparenze, mode e investimenti

Il mondo che Visintin racconta è quello in cui molti ristoranti di fascia alta restano mezzi vuoti. Resistono grazie a investimenti privati, agli alberghi, ai catering, agli sponsor che entrano silenziosamente nei menu citati con nomi sospetti.
Dove invece si mangia davvero, sono le pizzerie e le trattorie di piccolo e medio calibro, i luoghi dove gli italiani riconoscono la propria memoria gastronomica e il proprio budget.

Sullo sfondo dell’attuale scenario culinario italiano, le “mode gastronomiche” emergono e si diffondono con una rapidità sorprendente, travolgendo il settore come onde che si rincorrono e si imitano a vicenda.

Dalla finta cucina etnica, spesso svuotata dei suoi veri riferimenti culturali, fino alle ricette che seguono il trend del momento, il risultato è un’offerta uniforme, dove la ricerca della novità si trasforma in ripetizione e la diversità si appiattisce sotto questo peso.

«Il problema è la cattiva educazione alimentare, – sostiene Visintin, una cultura gastronomica debole, incapace di distinguere informazione e pubblicità, qualità e tendenza. Il cibo, – afferma – ha un vantaggio sulle parole: deve essere ingerito. E quando lo mangi, la verità arriva. Ciò che non funziona, semplicemente, non emoziona».

Che direzione sta prendendo la cucina italiana?

Secondo Visintin, nessuna rivoluzione all’orizzonte:
– continueranno a nascere ristoranti simili tra loro,
– continueranno gli chef a muoversi come pedine,
– continuerà la retorica della “cucina della nonna reinterpretata”,
– continuerà la sovraesposizione mediatica che crea personaggi, non professionisti.

L’unica nota positiva?
Forse un piccolo ridimensionamento del divismo. Ma il sistema, nel complesso, resta quello votato all’apparenza, alla spettacolarizzazione, a un linguaggio che spesso confonde più che spiegare.

Se vuoi capire davvero cosa succede dietro le quinte del mondo gourmet, questo è il podcast da non perdere.

Sara Sanna

Caporedattore
Sarda, scrive da sempre di enogastronomia, da qualche anno in modo professionale. La passione per questi argomenti è una eredità preziosa della sua famiglia dove le tradizioni culturali si sono radicate in simbiosi col piacere di condividere e di godere della scoperta del buon cibo.
Vedi tutti gli articoli
in-evidenza, news, notizie","operator":"IN"}],"useQueryEditor":true,"signature":"d25e0480e9e0f7dc8f9d54c3b06a141d","user_id":1,"time":1746144913,"orderby":"rand","post__not_in":[11810],"tax_query":[{"taxonomy":"category","field":"term_id","terms":[1067,11,10],"operator":"IN"}],"paged":1}" data-page="1" data-max-pages="86" data-start="1" data-end="4">