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Ci siamo mai chiesti cosa rappresenti davvero un libro di ricette?

Leggendo L’anima del Sautè, ricettario di Maria Vagliasindi al quale Chiara Vigo, con la collaborazione di sua madre, Rosanna Romeo del Castello, ha dato nuova vita, ho avuto modo di riflettere molto sul reale significato di una raccolta di ricette.
Etnea con sangue campano, una laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna, Dottorato di ricerca in Scienze delle Arti presso l’Università di Venezia, Chiara è anche imprenditrice agricola e vitivinicola dell’azienda Fattorie Romeo del Castello a Randazzo, ai piedi del grande vulcano che tanto ha influenzato e continua a influenzare questa parte della Sicilia. La sua famiglia ha antiche origini nobiliari e proprio da queste, e da numerose contaminazioni, attinge la raccolta pubblicata da Edizioni Torri del Vento.

Cos’è quindi un ricettario se non un racconto della società e del tempo nel quale viene creato?

A partire dal nome del libro, L’anima del Sautè appunto, ritroviamo lo specchio di una Sicilia ricca, elegante, aperta alle influenze esterne che ieri, come oggi, arrivavano continuamente dal resto del mediterraneo e non solo.
Attraverso tre generazioni di donne possiamo leggere la storia di una famiglia, che si articola nell’arco di anni e si racconta con il tramite della sua cucina, che si modifica adattandosi ai cambiamenti.

Sono le ricette a parlarci di tradizioni, dominazioni e mode senza mai perdere di vista il contesto in cui tutto avviene.
Chiara Vigo si rende voce di una Sicilia che conosciamo attraverso la letteratura e la cinematografia, quella delle grandi famiglie storiche, dei palazzi nobiliari, dei monzù.

Particolare il modo in cui lei e sua madre riescono a mettere insieme la raccolta dalla quale poi nasceranno tante riflessioni.
È stata necessaria una ricerca dei vari appunti, sparsi tra i membri della grande famiglia, a conclusione della quale è stata possibile l’elaborazione della raccolta.

Il tutto si ispira ai quaderni di Maria Vagliasindi, bisnonna di Chiara, nei quali la nobildonna di fine ottocento raccoglie tutta una serie di ricette che ovviamente rispecchiano la cucina del tempo.
Un periodo che si articola tra le due grandi guerre che hanno segnato l’Italia e che in qualche modo si riflettono anche nelle abitudini alimentari, facendo emergere quell’arte di arrangiarsi con cui spesso gli italiani, soprattutto al sud, hanno dovuto confrontarsi per non soccombere.

C’è una catalogazione dei piatti in parte estranea ai nostri giorni che testimonia anch’essa l’epoca a cui fa riferimento.

Antipasti, salse, primi piatti, piatti di mezzo e tutto il resto fino ad arrivare ai dessert sono il racconto di una cucina opulenta, non comune a tutte le fasce sociali ma tipica del contesto familiare.
Le indicazioni precise, sul gradimento di questa o quella preparazione ma anche sugli impiattamenti, rimandano a un’estetica di ispirazione futurista che all’epoca provava ad ispirare anche la cucina e i suoi protagonisti.

Così come i riferimenti a persone, a famiglie e a mestieri, annotati nei nomi dei piatti, parlano di consuetudini, di frequentazioni, di vita quotidiana.
Ci raccontano di differenze sociali e culturali in base alle quali le varie classi sociali si avvicinano, sono insieme protagoniste del quotidiano fino a sfiorarsi, ma mai si mescolano.
E vanno a fotografare il ruolo centrale della donna, ancora prevalentemente all’interno della casa, che con la sua egemonia in cucina detta ritmi, modalità e abitudini in seno alla famiglia.

Come fa notare la stessa autrice, questi quaderni diventano specchio non solo delle abitudini alimentari (di una Sicilia sicuramente benestante) ma sono anche testimonianze del linguaggio, degli usi quotidiani, perfino delle attrezzature di cucina.

Ed ecco che torna il Sautè, espressione usata ai nostri giorni quasi esclusivamente per indicare una preparazione simile ad un guazzetto.
Nel caso di specie Sautè, participio passato del francese sauter, indica un tegame, una sorta di casseruola utilizzata ai tempi proprio per le cotture al salto, e che la Vagliasindi usa anche per far scivolare le pietanze nell’olio bollente nell’atto di friggere, sottolineandone la centralità all’interno della sua cucina.

Tante sono le influenze che ritroviamo nei termini e nelle ricette.

Non dimentichiamo che è il periodo dei monzù, arrivati alla corte dei Borboni dalla Francia e poi di seguito nelle case nobiliari dell’isola.
E in casa di Maria Vagliasindi, arrivano anche gli usi e i costumi della nuora triestina, la famosa tennista Ucci Manzutto, che insieme alla sua tata porterà ricette salutiste e di ispirazione più “nordica”.

Il tutto si svolge tra Catania, allora considerata la “Milano del sud”, Randazzo sede della famiglia che si fregia appunto del titolo di Baroni del Castello di Randazzo e Allegracore, residenza di campagna dove in estate, fino alla vendemmia autunnale, la famiglia si riunisce, che diventa palcoscenico di grandi momenti di vita conviviale e sociale.
Frammenti di vita vissuta, abitudini e usi di una famiglia e di tutto ciò che ruota intorno ad essa.

Che sia proprio questa l’anima del Sautè?

Dolce Africano (buono ma non buonissimo)

Ingredienti
120gr di farina o majorca (farina di grano tenero)
Un cucchiaio di amido
180 gr dizucchero in polvere
80 gr di burro
6 uova
Tre cucchiai di cacao in polvere
Una presa di vaniglia
Pinoli e pistacchi

Procedimento
Montate in una terrina tre uova intere con 180 g di zucchero in polvere e una presa di vaniglia, dopo cominciato a montare aggiungetevi ancora tre uova intere, uno per volta. Quando tutto sarà ben montato unite 120 g di farina o Maiorca mescolata a un cucchiaio d’amido, tre cucchiai di cacao in polvere, 80 g di burro sciolto e se si vuole qualche pignolo e pistacchi a pezzetti. Versate il composto in uno stampo a timballo imburrato e polverizzato di farina e cuocere a forno moderato. Servire freddo e polverizzato di zucchero. Volendo si può servire glassato alla cioccolata e così è più adatto per dolce da tavola.

L’Anima del Sautè Link

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Anna Orlando

Direttore Responsabile
Calabro-lucana di nascita, campana di adozione. Dopo una laurea in Giurisprudenza e molti anni di professione forense, finalmente realizza un (uno dei tanti) sogno nel cassetto e diventa giornalista pubblicista. La passione per il cibo e le collaborazioni degli ultimi anni fanno il resto.
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