Alla Naples Conference on Cultural Heritage in the 21st century pizza fritta e taralli per un lunch alla fondazione made in cloister
Quando noi napoletani pensiamo ai beni materiali e immateriali che l’UNESCO ha proclamato patrimonio dell’Umanità pensiamo sicuramente, almeno dal 2017, alla pizza e all’arte del pizzaiolo. E anche, dal 2015, al nostro centro storico.
Ora mettete insieme tutte e due le cose all’interno di uno degli spazi più suggestivi della città, il Chiostro di Santa Caterina a Formiello, che grazie al lavoro della Fondazione Made in Cloister diventa uno dei più importanti esempi di riqualificazione urbana e sociale donati al territorio e al quartiere, ed è così che lo Street food napoletano diventa protagonista di un lunch evento che arricchisce i tre giorni della “Naples Conference on Cultural Heritage in the 21st century”.
Organizzata dall’UNESCO, dal 27 al 29 novembre al Palazzo Reale, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e il Ministero della Cultura, con il supporto del Comune di Napoli, la Conferenza ha riunito esperti provenienti da diversi Paesi chiamati a riflettere sul patrimonio culturale, materiale e immateriale, come motore di sviluppo sostenibile, con un approccio innovativo che consideri le strette relazioni tra natura e cultura, patrimonio e creatività.
Tre giornate piene, tra visite culturali e tavole rotonde con l’intento di celebrare “il patrimonio culturale nelle sue diverse forme, promuovendo la sua valorizzazione e nuove forme di salvaguardia tramite la partecipazione attiva delle comunità”.
IL LUNCH ALLA FONDAZIONE MADE IN CLOISTER
Sabrina Russo, la chef della Fondazione Made in Cloister, che ogni lunedì cucina nel refettorio sociale della Fondazione per le persone più bisognose del quartiere coinvolgendo altri chef e pizzaioli secondo la filosofia del progetto di Bottura “Food for Soul”, ha dato vita ad un menù per circa 200 ospiti di diverse nazionalità, che ha rappresentato appieno il concetto di street food partenopeo: dalla pizza fritta alle montanare, dai taralli ai “coppetielli” di trippa passando per panini con friarielli e provola di agerola e panini con cicoli, ricotta e pepe.
La chef per realizzare il menù ha coinvolto altre realtà, storiche e identititarie, del panorama gastronomico della città, tra questi i cugini Enrico e Carlo Alberto Lombardi della storica pizzeria Lombardi 1892 a Via Foria, quinta generazione di pizzaioli che porta avanti, dal banco, con le loro pizze, ogni giorno, la storia di famiglia, riuscendo a rinnovarla con le loro personalità e idee, ma tenendola salda come le foto alle pareti che raccontano una realtà centenaria della nostra città.
Nel menù erano presenti anche le focacce della Salumeria Malinconico, un’antica Salumeria, una bottega storica al Corso Vittorio Emanuele dal 1890, che, con Alessio, quarta generazione non offre più solo salumi, formaggi e prodotti di gastronomia tipica, ma diventa un luogo dove ci si incontra per presentare libri, parlare di cultura, fare rete.
UN TURISMO GASTRONOMICO “SOSTENIBILE” E’ POSSIBILE?
La capacità di “fare rete” di alcune delle realtà storiche napoletane, così come quelle di alcune personalità del mondo del food, potrebbe diventare la chiave di volta che riuscirebbe a portare fuori Napoli da una narrazione distorta della tradizione culinaria.
Una narrazione che ha troppo a che fare con un attuale turismo che sembra “invadere” la città e snaturarne l’identità. Anche sul tema di un turismo sostenibile si è concentrata infatti la Conferenza dell’UNESCO. Come il turismo può tornare ad essere una leva di sviluppo culturale rispettosa della vera tradizione di una città?
E ritorniamo al cibo, ai piatti della tradizione, che sono lontani, secondo noi, da quei video virali che consigliano “cosa mangiare a Napoli con 1 euro”. Dietro alle pizzerie storiche, ad esempio, ci sono famiglie che si tramando il mestiere da generazione, ci sono scelte imprenditoriali anche rischiose nei cambi generazionali che rendono le aziende rappresentanti sani della città, c’è un rapporto stretto e quotidiano con il quartiere, uno scambio reciproco di tutela e sostegno del territorio.
Lo street food napoletano non è soltanto qualcosa che si può mangiare al volo durante le visite e le passeggiate tra i vicoli di Napoli, è qualcosa che porta in sé gesti ripetuti, che ha segnato vite, abitudini e rapporti famigliari.
Nell’intreccio di un tarallo napoletano, nel chiudere l’impasto della pizza fritta con dentro i cicoli e la ricotta, nel pulire i friarielli prima di cucinarli, ci sono racconti tra generazioni diverse, storie di caparbietà tutta napoletana, sogni , a volte infranti, pur di continuare un mestiere che parla di Napoli.
Tutto questo l’UNESCO lo sa.
È dunque una necessità che gli addetti ai lavori e gli stessi professionisti dell’enogastronomia si impegnino per dare un’immagine diversa, veramente rappresentativa della nostra tradizione. Legata alla storia ma che sappia guardare avanti con un respiro internazionale, degno di una metropoli europea. Questo probabilmente è il momento giusto, ma potrebbe anche essere l’ultima opportunità.