Home

Esplora

Cerca

Ricette

Locali

Aggiungi qui il tuo contenuto offcanvas
Ingresso OperaWine Verona 2025, persone riunite.

Di Domenico Capogrossi

1 Maggio 2025

Di Domenico Capogrossi

1 Maggio 2025

E così va in archivio anche la 57ª edizione del Vinitaly, con tutto ciò che alla Fiera è in qualche modo collegato: fiere alternative (ma in realtà anche un po’ “satelliti”), eventi in città, inaugurazione.

Inaugurazione? Sì, esattamente. E non mi riferisco a quella formale della domenica mattina, con tanto di taglio del nastro, discorsi e passerella di personaggi vari, bensì al Grand Tasting del giorno prima che, da quattordici edizioni, evento inaugurale lo è nella sostanza e, perché no, anche per prestigio: OperaWine.

Cos’è (in teoria). Il sottotitolo ne descrive così la formula: “I migliori vini italiani, grandi produttori selezionati da Wine Spectator“.

Dal 2012, gli esperti della famosa rivista americana Wine Spectator valutano i vini italiani con una metodologia articolata e scelgono l’eccellenza dei produttori, invitando ciascuno a partecipare con un’annata del vino selezionato.

Le cantine prescelte vengono rese note a novembre dell’anno precedente dai redattori della rivista; così lo scorso 5 novembre sono stati Bruce Sanderson e Alison Napjus, senior editors di Wine Spectator, a divulgare l’elenco delle 131 aziende – nelle prime edizioni erano 100 ma poi il numero è gradualmente cresciuto – che sabato 5 aprile, un giorno prima dell’apertura della Fiera, negli spazi delle Ex Gallerie Mercatali, hanno dato vita a quello che è sicuramente uno dei più importanti “walk around tasting” italiani.

L’evento, organizzato dalla testata americana in collaborazione con Veronafiere e Vinitaly, è riservato a giornalisti, operatori e personalità del mondo del vino invitati dall’organizzazione e dai produttori; ogni azienda ha a disposizione 10 inviti.

Cos’è (in pratica). Vista con gli occhi del degustatore, si tratta certamente di un’occasione straordinaria: non è frequente avere la possibilità di assaggiare molti dei più rinomati vini italiani in una stessa sessione e alla presenza dei produttori.

Tuttavia, OperaWine non è soltanto questo ma, soprattutto, qualcos’altro. Un paragone appropriato può essere la serata inaugurale della stagione lirica di un importante teatro come, ad esempio, la Scala: un evento che non sempre è di eccezionale livello musicale, ma questo aspetto passa in secondo piano perché si tratta innanzitutto di un’occasione mondana.

Allo stesso modo OperaWine è il preludio di Vinitaly. Esserci in qualità di ospite dà la possibilità di incontrare un gran numero di persone e fare nuove conoscenze nel settore, oltre a consentire di prendere qualche appuntamento per i giorni successivi in Fiera e di salutare tanti amici. “Mi si nota di più se vengo…?” Ma per alcuni (influencer, aspiranti tali e non solo), inutile negarlo, è anche un’occasione per… “vedere e farsi vedere”, e questo, in un’epoca nella quale l’immagine è fondamentale, ha la sua importanza.

Ancora più appetibile, però, è parteciparvi in qualità di produttore, perché sancisce l’inclusione in una schiera ristretta ed elitaria, un po’ come essere ammessi in un circolo esclusivo, dal quale però si può anche essere estromessi.

Ebbene sì, in ogni edizione ci sono nuovi ingressi, uscite e… rientri. Inutile dire che le valutazioni di chiunque, per autorevole che sia, sono opinabili; questo comporta anche esclusioni, ma ancora di più inclusioni, difficilmente spiegabili. Il meccanismo di selezione non del tutto trasparente facilita inoltre il diffondersi di voci, ovviamente del tutto incontrollabili e magari anche infondate, su futuri probabili inserimenti nella lista delle cantine selezionate: tra quelle raccolte nelle varie conversazioni una riguarda un produttore campano, la cui partecipazione per il 2026 sarebbe, a mio avviso, meritatissima.

Discorso a parte, poi, meritano alcune… “lunghe persistenze”: ben ventitré aziende sono presenti ininterrottamente dalla prima edizione (infatti sono definite “all timer”), alle volte – va detto – con vini non proprio memorabili. Un caso? Probabilmente no.

Difficile sottrarsi all’impressione che vi sia comunque un occhio di riguardo per alcune grandi famiglie del vino italiano, per alcuni enologi e, anche, per qualche personaggio noto. Come è andata? Mmmh… bene ma non benissimo. La parte peggiore, diciamolo subito, è stata la vicenda che ha riguardato la grafica dell’intero progetto OperaWine 2025 (compresi quindi i materiali di comunicazione), basata su una rielaborazione di dipinti di Keith Haring che, solo all’ultimo momento, si è saputo essere priva di autorizzazione da parte della Fondazione che detiene i diritti sulle opere dell’artista americano; il tutto sancito da un imbarazzante comunicato, pubblicato appena il giorno prima, e dalla frettolosa eliminazione, almeno dai social, delle immagini incriminate. Una superficialità inaccettabile per un evento di questa importanza e un grave infortunio comunicativo che avrà sicuramente conseguenze legali.

Anche nei vini emergono alcune criticità: diversi assaggi, soprattutto di annate non recenti, hanno deluso le aspettative.

Il caso più eclatante è stato sicuramente quello del Sassicaia. La 1993 non è annoverata tra le migliori annate di questo vino iconico, di certo superata dalla mitica 1985 o dalla 1988, ma anche, nello stesso decennio, dalle due immediatamente successive; e proprio la ’93, in formato magnum, è stata presentata in degustazione – versata da Priscilla Incisa della Rocchetta in persona – dando l’impressione di un vino decisamente “stanco”, ormai senza più nulla da dire.

Possibile che un produttore di questa notorietà decida di portare un vino del quale non conosce lo stato evolutivo o di servire una bottiglia senza assaggiarla prima? Difficile da credere, siamo davvero all’ABC della sommellerie. È più probabile che abbia voluto impressionare con un’annata vecchia, fidando sulla benevolenza (e magari anche sulla scarsa competenza) degli invitati, oppure – e in tal caso sarebbe ancora peggio – che si sia liberato di una dozzina di magnum di un’annata difficilmente vendibile, ben sapendo che la fama di un’etichetta così blasonata non ne avrebbe sofferto in alcun modo.

Per completezza aggiungo che, stando alle voci raccolte, qualche perplessità ha riguardato anche altri vini, che però a me non è capitato di assaggiare. In ogni caso è opportuno che gli organizzatori, in primis Wine Spectator, esercitino un maggiore controllo riservandosi l’ultima parola sui vini proposti.

Gli assaggi, quelli buoni Ma veniamo finalmente alle note liete, cioè ai migliori assaggi, dei quali mi limito a citare solo alcuni – in tre ore sono stati davvero tanti – senza fare una classifica.

Partendo dal Piemonte, come non nominare il Barolo Bussia Romirasco 2015 di Poderi Aldo Conterno, nella foto presentato da Franco Conterno, vino destinato a vita lunghissima, quindi ancora giovane, ma già magnifico; del resto, è fratello dello straordinario Bussia Granbussia Riserva 2015 assaggiato pochi mesi fa, che considero, senza mezzi termini, un vino da genuflessione.

Barolo Falletto 2020 di Bruno Giacosa; pur essendo un’etichetta bianca di questo leggendario produttore, quindi non appartenente alle mitiche etichette rosse che escono solo nelle annate eccezionali, ha mostrato grande equilibrio e una “prontezza” che potrebbero indurre a berlo già adesso: sarebbe un errore.

Meritevole di citazione anche il Barbaresco Pajè 2019 di Roagna, proveniente da uno dei vigneti più importanti della denominazione.

In un contesto del livello di OperaWine risulta impossibile che non compaiano anche tanti vini toscani, e infatti ecco la foto con Giovanni Neri (Casanova di Neri) e il suo Brunello di Montalcino Cerretalto 2018; un’annata di Brunello che non amo particolarmente – frettolose e immeritate, a mio avviso, le quattro stelle assegnate a suo tempo, io non sarei andato oltre le tre – ma che, quando è così ben interpretata, dà luogo comunque a vini eccellenti come questo.

Altro grande classico, questa volta di un’ottima annata (adoro la 2016), il Messorio di Le Macchiole, sempre tra i migliori Merlot italiani. Dopo la mediocre prestazione del Sassicaia, l’onore di Bolgheri è stato salvato, oltre che dal vino precedente, anche dall’Ornellaia 2015: bella annata e… solito gran lavoro di Axel Heinz.

Ci sarebbero ancora gli Amarone di Romano Dal Forno e Tommaso Bussola, l’Etna e diversi bianchi altoatesini e friulani ma ho abbondantemente sforato i limiti che solitamente mi prefiggo, per cui riassumo i tanti ottimi assaggi del resto d’Italia in un unico vino: il Taurasi Grand Cru Riserva Luigi Moio 2019, nuovo nato in casa Quintodecimo, ottenuto assemblando tre vini provenienti da tre parcelle diverse; un bel connubio di struttura ed eleganza presentato nella foto da Chiara Moio.

Bene, per quest’anno da OperaWine è tutto.

OperaWine Link

Per Approfondimenti Link

Uomo sorridente all'aperto

Domenico Capogrossi

Di formazione scientifica, quando il lavoro di docente glielo consente, coltiva la passione per il vino, andandosene in giro ad assaggiarne e cercando di scrivere qualcosa di “leggibile”.Alcuni diplomi gli conferirebbero un briciolo di credibilità ma… Meglio non fidarsi
Vedi tutti gli articoli
beviamoci-su, in-evidenza, vino","operator":"IN"}],"useQueryEditor":true,"signature":"d25e0480e9e0f7dc8f9d54c3b06a141d","user_id":1,"time":1746144913,"orderby":"rand","post__not_in":[3876],"tax_query":[{"taxonomy":"category","field":"term_id","terms":[3,1067,20],"operator":"IN"}],"paged":1}" data-page="1" data-max-pages="56" data-start="1" data-end="4">