Aversa non è una città di mare, ma il mare arriva comunque. Arriva nella promessa del nome, nel racconto dei piatti, nell’ambizione dichiarata di trasformare una distanza geografica in una direzione di gusto.
Vizi di Mare gioca con l’idea del mare “evocato”, ricostruito attraverso tecnica, ricerca e una certa dose di coraggio.

La sala: un’ambientazione che definisce l’identità del locale
La sala di Vizi di Mare è il primo elemento a parlare.
Un open space dai toni profondi, dominato da un blu petrolio che crea una penombra sofisticata. Su questo sfondo scuro si innesta una tavolozza vivace con sedute nei toni del viola, del verde bosco e del turchese, insieme a bicchieri colorati, piatti decorati come piccole maioliche contemporanee.
Dal soffitto scendono rami cremisi che aggiungono carattere e guidano lo sguardo, mentre specchi dorati, lampade ricercate e opere POP, contribuiscono a completare l’insieme.
Nonostante l’impatto visivo, lo spazio resta funzionale: tavoli distanziati, percorsi fluidi, luce morbida filtrata dalle tende.
È un’estetica che supera l’immaginario del classico ristorante di pesce e afferma un’identità personale e riconoscibile, perfettamente in sintonia con la cucina.
La cucina che non spreca nulla
Il ristorante Vizi di Mare porta la firma del patron Luca Lipoma, mente e motore del progetto, e dello chef Antonio Rossi, giovanissimo e silenzioso ma già tecnicamente solido e curioso.
La loro è una cucina che non ha paura di osare e che si ispira dichiaratamente a un principio antico: “del mare non si butta via nulla“, proprio come la tradizione contadina non buttava via nulla del maiale.
Questo approccio si traduce in piatti che recuperano parti considerate “minori”, le rileggono, le nobilitano, le trasformano in gusto.
È qui che si capisce davvero la loro intenzione di non giocare alla provocazione fine a se stessa, ma raccontare il mare in tutte le sue versioni, anche quelle meno immediate.

Il menu “Mare d’Autunno”, un percorso tra tecnica e recupero
Il menu degustazione Mare d’Autunno si apre con un gioco di contrasti: crudo e cotto, iodato e affumicato, mare e brace.
Ostrica pastorizzata e cotta alla brace, tartufo uncinato
Il percorso inizia con un’ostrica passata alla brace, adagiata su erbe aromatiche che amplificano l’impatto olfattivo. L’idea è quella di un “mare d’autunno”, più profondo, più caldo, lontano dalla consueta immediatezza del crudo. Un approccio tecnico, coraggioso con un messaggio chiaro: qui si lavora sul pesce come si lavorerebbe su una carne, esplorando temperature, consistenze e reazioni della materia al calore.
Trippa di pesce alla romana
Poi arriva uno dei piatti più convincenti del percorso, la trippa di mare.
Un inno al recupero, alla cucina popolare reinterpretata in chiave marina. Cinque bolliture per ottenere la consistenza ideale, un sugo alla romana di grande profondità, note leggermente piccanti e una sapidità che avanza con eleganza. È un piatto che profuma di trattoria e di mare allo stesso tempo, familiare e sorprendente.
Triglia “in carrozza” con ristretto delle sue frattaglie
La triglia in carrozza è un omaggio dichiarato alla cucina del recupero. Il pesce intero diventa protagonista attraverso il suo sapore integrale, con un ristretto ricavato dalle stesse frattaglie che ne amplifica la persistenza. La croccantezza esterna è ben gestita, mentre la salsa di accompagnamento dona rotondità e una vena dolce che bilancia la parte più marina.
Collare di ricciola glassato: tre muscolature, tre sapori
Il piatto più gustoso del percorso, un collare di ricciola alla brace, trattato esattamente come un taglio di maiale o manzo, con una glassatura lucida e intensa che esalta le diverse consistenze delle tre muscolature. Da mangiare con le mani, da afferrare e spolpare, seguendo l’istinto. Un invito quasi primordiale, che rimanda ai gesti più antichi, quando il cibo si consumava senza mediazioni.
La brace qui non è un vezzo, bensì la chiave per tirare fuori la parte più golosa del pescato: mordace, succoso, ricco.
Spaghetti al riccio di mare
Cremosi, intensi, diretti.
Il riccio avvolge la pasta con un sapore marino pieno ma non aggressivo, mantenendo un equilibrio che non è mai scontato quando si lavora con una materia così delicata. Un intermezzo necessario, quasi un “respiro iodato” nel cuore del menu.
Zuppa di pesce (gallinella, triglia, scorfano) con mazzancolla cruda e cotta
La zuppa è un ritorno alla tradizione mediterranea, giocata però sulle stratificazioni. La parte cotta – gallinella, triglia, scorfano – incontra la dolcezza delicata della mazzancolla in doppia consistenza. È un piatto che scalda, rassicurante, con una profondità aromatica costruita sul rispetto del mare e delle sue cotture lente.
Soffritto di mare
Altro richiamo al quinto quarto contadino, ma traslato nel mondo marino.
I profumi ricordano un ragù corposo, il colore è quello del pomodoro cotto lentamente, mentre le consistenze sono una sorpresa continua. È un piatto che avrebbe potuto essere ostico, e invece si rivela sorprendentemente armonioso, quasi confortevole. Un altro tassello della filosofia del recupero.
Interpretazione di polacca aversana
Chiusura dolce con un omaggio al territorio: la polacca aversana, riletta con leggerezza. Meno zuccherina della versione tradizionale, più inclinata verso la pasticceria contemporanea, è un coerente gesto di affetto verso la città che ospita il ristorante.
La cantina: un caveau che completa l’esperienza
A occuparsi della sala e della cantina di Vizi di Mare è Antimo Iavarone, direttore e sommelier. Giovane, preparato e attento, accompagna gli ospiti tra le etichette, firmando abbinamenti che sostengono il percorso gastronomico senza mai sovrastarlo. La cantina si trova nel livello inferiore. Un ambiente scavato nel tufo, ordinato e suggestivo, che custodisce centinaia di etichette. Un piccolo caveau naturale, dove atmosfera e cura dei dettagli concorrono a definire l’identità del locale. Uno spazio che completa l’esperienza e rappresenta uno dei punti di forza del ristorante.
Vizi di Mare Link




















