Non è la distanza dalla Sardegna, che si può raggiungere in qualche minuto di navigazione. È il lento vivere, la gente, la storia, la cultura, il cibo unico di un’Isola nell’Isola.
Si sale sul traghetto che parte ogni mezz’ora da Calasetta o Portoscuso ed è già vacanza, che si resti a bighellonare in paese o si decida di esplorare le campagne e la costa. Vi consigliamo di prenotare un motorino, ci sono molti noleggiatori. Vi permetterà di addentrarvi in alcune vie del centro ma anche di spostarvi nelle spiagge o fare su e giù per i dolci pendii dell’interno per giungere a punti dove si gode di una vista mozzafiato a 360 gradi sul mare.
Irrinunciabile è una visita allo storico fortino di Guardia Mori, oggi punto di avvistamento incendi della Forestale.
Da qui, si può scorgere la tonnara, tempio della cultura industriale ittica locale e ambiente che per secoli ha fatto da scenario alla vita dei carlofortini, segnandone l’esistenza.
Chi incautamente crede di trovarci uno spaccato di Sardegna, resterà stupito da un microcosmo a sé, dove urbanistica, dialetto, tradizioni, usi e costumi sono completamente diversi dal resto della regione. Maialetto, sebadas e pecorino vengono sostituiti da piatti completamente inediti, strettamente legati alla cultura del pesce e del tonno o alla tradizione genovese, che ha lasciato qui un’impronta indelebile. I piatti di Carloforte non sono semplicemente gustosi o di pregio, hanno dalla loro, il fatto di essere unici.
Lo si deve, tra le altre cose, alla storia di questa cittadina, nata a seguito dell’insediamento di un nucleo di tabarchini nel 1738, trasferitisi in Sardegna, su invito di Carlo Emanuele III di Savoia e a loro volta originariamente provenienti dalla comunità ligure di Pegli. Furono loro a urbanizzare un’isola sino a quel momento inabitata radicando cultura, costumi e tradizioni che tuttora si rinnovano, anche a tavola.
I sapori del territorio
In cima alla lista delle specialità tipiche: il pestu, utilizzato per condire formati di pasta che nulla hanno a che vedere con quella tipica sarda. Tra questi, le trofiétte, ma anche il cascà, il cous cous. E sempre tra i primi, meritano una menzione i pansotti, i ravioli e le paste semplici come i maccaruin o lo scucuzù, un formato corto, dalla forma cilindrica, impiegata soprattutto nei minestroni di ceci e fagioli o nel pilau, una zuppa di crostacei. Ma forse è nel pastissu, in tabarchino “pasticcio” che la tradizione isolana dei primi, si manifesta al meglio. In questa pietanza tre formati quali i casulli, i curzétti e i macaruin, si uniscono nella stessa cottura, per trovare poi la morte in un ricchissimo condimento a base di pesto e sugo con tonno. Irrinunciabile, consigliatissimo.
Pesci e verdure protagonisti
Degna di nota è la cassolla, una zuppa di pesce povero, molluschi e qualche crostaceo preparati con pomodoro, prezzemolo e aglio, ma anche acciughe, polpo e stoccafisso. Nella tradizione locale si annoverano anche la bòbba, una minestra a base di fave e la cappunadda, con gallette e salumi di tonno che oggi molti ristoratori propongono come antipasto. Le influenze liguri sono evidenti altresì nella fainò – la farinata – a base di ceci, acqua e olio, cotta al forno, ottima come street food e non solo.

La galletta è invece il pane dei marinai: tondo e biscottato, preparato con farina, acqua, sale, lievito e strutto. Dalla caratteristica forma circolare, è alta e spessa e ha una vita di diversi mesi. E’ consumata da sola oppure rammollita a pezzi, unita a pomodori, facussa e tonno, tutto condito con olio, aceto, pepe e basilico. La facussa carlofortina è un cetriolo sottile, allungato (30 centimetri circa), incurvato e ritorto tipico del Maghreb, i cui semi furono portati a Carloforte da coloni tabarchini.
Altri piatti tipici sono il purpu accummudau cue patatte (polpo in guazzetto con patate) e lo stoccafisso alla tabarchina, anche questo alternativamente chiamato stoccafisso accomodato, che al pari del polpo, si prepara con patate, acciughe, cipolle, carote, sedano, olive, pinoli e pomodori.


Il Tonno, il re del mare
Ultimo ma non ultimo, il tonno è senza dubbio il re della cucina locale, sebbene la pesca sia oggi fortemente limitata dalla normativa comunitaria sulle quote di prelievo, che ha riservato a Carloforte, solo modeste quantità. La mattanza avviene tra maggio e giugno, ma poi c’è un anno intero per conservare e consumare ogni parte di quello che viene considerato il suino del mare. E del maiale, si sa, non si butta via niente. Qui, infatti, del tonno si utilizza tutto e non solo le cosiddette parti nobili. Se ne consuma l’esofago (i gurezi), lo stomaco (o belu), i musciame (filetto), il lattume o sperma (il figatellu), i ritagli (la buzzonaglia), il sottogola (u barbasallu), il frontale (u fruntole) e molto altro.

E per chiudere, qualche dolce come i giggeri e i canestrelli, questi ultimi realizzati con un impasto di farina, strutto, zucchero, tuorlo d’uova, lievito e vanillina. Anche i canestrelli, come le gallette, durano nel tempo e si consumano usualmente bagnati nel vino o nel moscato.
(crediti foto Ornella M.)
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